14 Dicembre 2021 - 7:16 . Africano . Cronaca
Voragine a largo Somalia, il geologo Manni: “La perdita può creare altri danni, ma non c’è pericolo per gli edifici”
di Marco Barbaliscia
Viale Somalia tra voragini, chiusure stradali e incertezza sul futuro. Lo scorso luglio si è aperta una falla dovuta al cedimento di un tratto di rete fognaria. Un problema aggravatosi il 7 dicembre quando, a circa 60 metri dal primo danno, verso via Salaria, si è verificato un secondo “sgrottamento”, ovvero il cedimento di una volta della fogna.
Non è la prima volta che la strada è colpita da fenomeni simili. Negli ultimi tempi diverse voragini hanno paralizzato viale Somalia. Una delle più importanti si verificò negli anni ’60, all’altezza di piazza Gondar, un’altra nel 2011. Ma cosa c’è dietro la formazione di questi incidenti?
Lo spiega Lorenzo Manni, geologo che ha approfondito lo studio del sottosuolo del quartiere Trieste–Salario, come ha raccontato anche nel corso della presentazione dell’ultimo romanzo del direttore di RomaH24 Luigi Carletti, “Il fantasma di Ponte delle Valli” (Typimedia Editore), presentato l’11 dicembre alla libreria Eli e ambientato in alcune sue parti nei cunicoli sottoterranei che si rincorrono sotto le nostre strade.
Dottor Manni, c’è una motivazione geologica dietro la formazione delle voragini in largo Somalia?
“Viale Somalia si trova al centro di una valle dove era, ed è presente, un fosso che raggiunge la valle del fiume Aniene. Dalle pendici di questa valle si disperdono miriadi di cunicoli che, in passato, venivano utilizzati dagli antichi Romani per cercare materiale di costruzione come tufo e pozzolana. Quel mondo è ancora lì sotto. Le voragini spesso si formano perché questo fiume sotterraneo ancora scorre, formando dei crolli”.
E’ questo il caso anche della voragine più recente?
“Acea parla di perdita. In viale Somalia transita uno dei collettori fognari principali che raccoglie le acque sporche dei palazzi. Ci troviamo a 12-15 metri di profondità. Se l’acqua esce, a causa appunto di un foro, questa asporta il terreno che gli sta vicino. Parliamo, spesso, di terreno di riporto, ovvero terra messa a ricoprire lo scavo dopo l’inserimento delle tubature. E’ terreno sciolto, misto, dalle caratteristiche geologiche scarse. L’acqua che esce tende a scorrere lungo il sottosuolo e nel tempo questo flusso porta via il terreno. Un fenomeno che va all’indietro, che dalla profondità corre verso la superficie, formando vuoti molto grandi nel sottosuolo, ma che sull’asfalto si trasformano in una piccola buchetta. Quel foro è l’apice di una voragine sotterranea”.
La prima voragine, in viale Somalia, si è aperta a luglio e non è ancora stata richiusa. Il tempo può portare nuovi danni alla fogna?
“Se il problema non è stato risolto, progredisce lungo il suo ‘asse di debolezza’. Nel caso di viale Somalia, se nessuno interviene sulla perdita, l’acqua non stagna, ma cerca sempre una via dove scorrere. Il punto della prima voragine, non a caso, si trova in largo Somalia, che è all’apice di una collina. Dalla cima l’acqua va giù e può fare altri danni”.
Residenti e commercianti manifestano preoccupazione sulla tenuta degli edifici della zona. Come avviene il monitoraggio e qual è la situazione attuale?
“Quando si forma un fenomeno del genere, come una voragine, intervengono subito i vigili del fuoco che verificano l’entità del danno. Il piano degli edifici in viale Somalia, considerando cantine e seminterrati, si trova poco al di sotto della superficie stradale. I tecnici valutano se le cavità che si formano possono arrivare ad interessare le fondamenta dei palazzi. Non credo sia questo il caso. Quando c’è il rischio, i vigili del fuoco fanno evacuare immediatamente la zona, e ciò in viale Somalia non è accaduto. Se c’è un pericolo diretto si vedono anche segni sugli edifici”.
L’intervento per la riparazione del danno si preannuncia lungo e laborioso. Come s’interverrà in viale Somalia?
“Quando crolla un tratto di fogna il lavoro è complesso. Immagino che Acea possa agire allo stesso modo di quanto fatto in piazza Vescovio nel recente passato. C’è da mettere in sicurezza lo scavo, senza dare fastidio ai palazzi accanto. Come si fa? Con dei pali, lunghi quanto la profondità dell’intervento, si costruisce una sorta di scatola chiusa con il cemento. Poi dentro la scatola iniziano a scavare senza deteriorare le pareti, un evento che metterebbe in pericolo la stabilità degli edifici”.
Cosa c’è, più in generale, sotto il Trieste-Salario?
“Il sottosuolo del nostro quartiere è un misto di zone note e meno note. La parte conosciuta è caratterizzata da cavità, ma è sempre difficile dire cosa ci sia fino in fondo. Un esempio è la zona di Sant’Agnese: si possono raggiungere dei punti sottoterra dove vedi cavità proseguire, ma senza che si possa esplorarle. C’è tanto materiale di studio: le valli dell’Aniene e di viale Somalia erano zona di campagna per gli antichi Romani e venivano scavate per recuperare tufo e pozzolana per costruire i palazzi del centro”.
I cittadini possono visitare alcuni dei luoghi sotterranei del nostro quartiere?
“Tra i punti più noti c’è il bunker di villa Ada che negli anni ’80 ha alimentato leggende incredibili. In tempi abbastanza recenti è stato recuperato e aperto al pubblico. Attualmente è chiuso, in attesa del nuovo bando di gestione che deve essere fatto dalla Sovrintendenza Capitolina e l’accesso è impedito da una cancellata. Molto più semplici da visitare, e comunque affascinanti, sono le catacombe. Via Salaria ne è piena, a partire da quelle di Priscilla. Una volta c’era un percorso in via Mascagni, ma ora è chiuso”.
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