25 Febbraio 2021 - 10:20 . Trieste-Salario . Cronaca

Via Ticino, Vittorio Sgarbi contro la nuova palazzina: “Orrore consentito dal Comune”

Va Ticino 3
Va Ticino 3

VIDEO. Vittorio Sgarbi a via Ticino

A più di 3 anni dalla demolizione del vecchio villino Naselli, la costruzione – al suo posto – del moderno edificio a via Ticino 3 non smette di suscitare polemiche. E a riaccenderle è nientemeno che Vittorio Sgarbi.

In un video pubblicato su Facebook, il famoso critico d’arte punta il dito contro il Comune e la sindaca di Roma Virginia Raggi per la nascita di quello che Sgarbi definisce un “orrore”. “Non si è riusciti a impedire l’abbattimento iniziato in nome di un equivoco e di un vincolo non definito – chiosa il critico -. Io sono andato tre volte dal magistrato Pignatone (ex procuratore capo di Roma, ndr) e non ha fatto nulla. Lui e la Raggi hanno consentito questo orrore”.

L’attuale condominio residenziale occupa uno spazio di circa 3200 metri cubi, con sette abitazioni, quindici box auto e otto cantine. La scomparsa del precedente palazzo storico aveva dato vita a una mobilitazione dei cittadini per la difesa di altri villini storici a rischio nel quartiere, come Villa Paolina a largo XXI Aprile, la cui facciata è infine rimasta intatta.

Via Ticino

La demolizione, il 16 ottobre 2017, del villino Naselli – che prende il nome del primo proprietario, il conte Gerolamo Naselli – palazzina di quattro piani vicinissima alla casa in cui visse il tenore Beniamino Gigli, aveva infatti scatenato la rabbia del Trieste-Salario, aprendo un dibattito che aveva riguardato tutta Roma, sulla opportunità di abbattere un edificio di pregio architettonico.

Per capire come si sia arrivati a questa demolizione, bisogna andare a leggere il Piano casa della Regione Lazio, una legge che permette di abbattere e ricostruire edifici esistenti, anche aumentandone la cubatura. È in seguito la “NS Costruzioni” a comprare il villino di via Ticino, che era di proprietà di una congregazione di suore, per farne dei nuovi appartamenti.

Con un “giallo”. “L’autorizzazione alla demolizione era stata concessa perché si era detto che l’edificio risaliva agli anni ’50 – spiegò all’epoca Cristina Rinaldi, presidente del comitato “Salviamo Villa Paolina” –. Poi però si è scoperto che era degli anni ’30. È un dettaglio decisivo: la costruzione aveva più di 70 anni, per questo era vincolata e perciò non poteva essere abbattuta”. Pochissimi giorni prima della demolizione, infatti, associazioni, comitati e cittadini avevano chiesto l’accesso agli atti, scoprendo così che il progetto originale del villino era del 1930 e che la costruzione sarebbe stata immediatamente successiva. Questo non bastò però a fermare le ruspe, come ricordato oggi da Vittorio Sgarbi.

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