11 Marzo 2022 - 16:47 . Africano . Cronaca

“Schiavi dello smartphone”: quali sono i rischi dell’ossessivo controllo del cellulare

Un gruppo di giovani
Un gruppo di giovani

di Daniele Magrini

“Da terapeuta pediatrica, faccio appello ai genitori, agli insegnanti e ai governi affinché proibiscano l’uso di dispositivi elettronici ai bambini sotto i 12 anni”: lanciò questo appello disperato, nel 2017, la pediatra terapeuta Chris Rowan attraverso il suo libro, Virtual child, tradotto in italiano in Demenza digitale. Nel mirino della Rowan c’erano smartphone e tablet. Cinque anni dopo si può dire, con certezza, che nessuno ha ascoltato la Rowan e i pochi altri che, come lei, hanno rappresentato le dinamiche di un problema epocale: l’uso smodato dei devices digitali in età preadolescenziale. Aldo Cazzullo ci ha provato, con il suo Metti via quel cellulare, in un serrato botta e risposta con i suoi figli Rossana e Francesco, libro uscito anch’esso, come quello della Rowan, nel 2017.

Se quell’esortazione di cinque anni fa abbia avuto un seguito nella famiglia Cazzullo, lo si potrà apprendere dalla viva voce dell’autore, vicedirettore del Corriere della Sera, mercoledì 16 marzo alle ore 18 alla Libreria Eli di viale Somalia a Roma, nell’incontro organizzato da Typimedia condotto da Luigi Carletti con Giulia Argenti, per la rassegna Corto Circuito. 

La locandina dell’evento

Una scelta del tema coraggiosa, senz’altro controcorrente quella di Typimedia e Libreria Eli, visto il conformismo tecnologico che impera, tutto teso a narrare le mirabolanti opportunità della rivoluzione digitale. Che sussistono, per carità, ma che non possono nascondere gli effetti che un uso smodato della tecnologia, degli smartphone in particolare, sta provocando e sempre di più provocherà.

Per restare ancora un attimo sul fronte della fascia preadolescenziale, Mena Senatore al titolo del suo libro Bambini digitali, aggiunge un sottotitolo eloquente: l’alterazione del pensiero creativo e il declino dell’empatia. E sono questi gli effetti primari dell’esposizione dei cervelli dei bambini al condizionamento degli smartphone: la nascita di una dipendenza che provoca quella che gli esperti come la Rowan definiscono demenza digitale. L’incapacità di esprimersi, di scrivere in modo disteso, di descrivere compiutamente, di provare emozioni reali fuori dai video di TikTok. 

Avete mai osservato una bambina immersa nel suo telefonino? Se la chiamate non risponde mai alla prima. Ti guarda con lo sguardo assente. Se provi a parlarci, ad avviare un discorso, smozzica qualche parola ma non vede l’ora di rituffarsi lì dentro quel piccolo schermo. Perfino la televisione diventa faticosa: perché anche i film brevi a cartoni animati durano troppo. Oltre quella frontiera di 90 secondi che è la durata standard dei video sui social.

Il declino dell’empatia – come scrive la Senatore – avviene prima di tutto in famiglia. Con i genitori, con i nonni che aspettano ansiosi l’ora da condividere con le nipotine. E si vedono invece esclusi dal loro mondo, emarginati sul fondo del divano, domandandosi attoniti perché sono diventate così rare le dimostrazioni di affetto. E non si dica che è per via che i bambini crescono. No, non è così. È per via dell’immersione totale dentro lo schermo degli smartphone che assorbe ogni attenzione e aspettativa dei nipoti nativi digitali. Già, con questa denominazione gli intellettuali conformisti dei nostri giorni sembrano delineare una superiorità generazionale che non c’è. Non sono per niente fortunati quelli nati nell’era digitale. Stanno perdendo tanto, cose che neppure immaginano. Lo furono di più – fortunati – i bambini nati alla fine degli anni Cinquanta per la scoperta dei vaccini, per esempio, o semplicemente del frigorifero, o dell’auto faticosamente comprata per condividere in famiglia le gite della domenica. 

Oggi, nelle famiglie, si condivide ben poco. I bambini tra sé giocano ben poco. E se i vaccini sono stati scoperti contro il Covid, non ve ne sono e non ve ne saranno contro la sindrome più pericolosa dei nostri tempi: si chiama F.O.M.O. (Fear of Missing Out), acronimo che identifica la paura di rimanere fuori da tutto ciò che sta avvenendo in Rete. Ne soffre il 99,2% di utilizzatori dello smartphone. In italiano è più conosciuta come nomofobia (No mobile phone phobia) e forse per una volta il termine italiano è più efficace. Perché chiama in causa direttamente il “telefonino” nella sua dimensione ormai acquisita di vera e propria protesi del braccio. Anche questa connessione fisica fra la persona e lo strumento che conduce per mano ogni essere umano dentro il mondo virtuale, identifica il rapporto ormai stravolto: oltre sei miliardi e mezzo di persone hanno un cellulare (dato del Mobility Report di Ericsson). Gli italiani sono al sesto posto. Un affare colossale, ovviamente

Ognuno di noi smartphone-dipendenti tocca la propria “protesi” digitale per 2617 volte al giorno, e ci sta immerso mediamente per 4 ore e 15 minuti. È una vera e propria droga. Aldo Cazzullo cita la battuta di Altan: “E’ record, ogni cellulare possiede un italiano”. Frase perfetta, illuminante, che però va detta sottovoce. Non fatevi sentire dagli intellettuali, dai docenti universitari che nelle loro lezioni si guardano bene dal parlare di tutto questo. 

I figli di Cazzullo, nel libro, hanno obiettato all’esortazione del padre dicendo che lo smartphone consente loro un approccio totale, libero e incondizionato, alla conoscenza, ben oltre i confini di un libro o dell’ambito scolastico. Considerazione comprensibile ma insufficiente: cosa serve conoscere il mondo, se il mondo stesso non va oltre lo schermo del cellulare?

Chi avrà la (s)ventura di leggere questo pezzo-requisitoria lo liquiderà semplicemente con un certo disprezzo: “È un boomer, ha 63 anni. È un uomo del Novecento. Lasciatelo perdere”. E tornerà a immergersi nello smartphone. Quanto a me, autore di questa invettiva anti-smartphone, correrò subito a postarla su Facebook. Grazie al mio smartphone, attaccato alla mano destra. Con la sinistra, invece, sventolo già bandiera bianca.

LEGGI: Sos dipendenza da smartphone, alla Libreria Eli il secondo appuntamento di Cortocircuito

LEGGI: Quando le donne reagiscono alla violenza, alla Libreria Eli il primo incontro di “Cortocircuito”