20 Marzo 2023 - 18:08 . Cronaca
Morte Fasano, il caso non si chiude. Il gip non archivia e dispone ulteriori indagini
Le indagini non si archiviano, la storia non si chiude. Si aspettano, invece, risposte chiare sulla morte del maresciallo dei carabinieri Eugenio Fasano. Perché quelle che sono state date finora non hanno convinto il giudice per le indagini preliminari Rosalba Liso che, nell’udienza dello scorso 15 marzo, ha respinto la richiesta di archiviazione che le era stata sottoposta dalla pm, Roberta Capponi, per “infondatezza della notizia di reato”. Il gip ha disposto, invece, ulteriori indagini, da svolgersi in sei mesi. La prossima udienza è fissata per il 20 settembre 2023.
Sulla morte del maresciallo Fasano, deceduto a 43 anni dopo una partita di calcetto con i colleghi il 24 gennaio 2019, sono ancora tanti i dubbi. Il 22 giugno 2022 il gip, Nicolò Marino aveva disposto che il pubblico ministero effettuasse tutte le indagini suppletive necessarie a vederci chiaro sulla vicenda, a partire dall’autopsia sul corpo del carabiniere, che non era mai stata effettuata prima.
Le indagini, però, non hanno portato a una sola verità, ma a due scenari differenti. Secondo la perizia dei Ctu (consulenti tecnici d’ufficio) la morte del maresciallo sarebbe da imputarsi “ad un arresto cardio-respiratorio terminale da insufficienza multi-organo e shock cardiogeno conseguente ad un infarto acuto del miocardio in soggetto sottoposto ad angioplastica primaria” scrivono i medici Vincenzo Arena e Nicola Silvestri nelle conclusioni del documento. Quindi, una morte naturale.
Mentre il consulente tecnico di parte nominato dalla famiglia del carabiniere, il dottor Giuseppe Merolla, nelle conclusioni della sua perizia ricostruisce uno scenario differente, che avrebbe caratterizzato le ultime ore di vita del carabiniere, a partire da un “probabile diverbio con partecipante alla partita di calcetto del 22 gennaio 2019, seguito da probabile contatto fisico provato da multiple fratture costali”. A cui sarebbe poi seguito un “malore per crisi stenocardica in soggetto con coronaropatia non nota (…)”, un “arresto cardiaco con asistolia protrattasi almeno per oltre 30 minuti prima che E.F. potesse ricevere cure adeguate” e, infine, un “imponente emo-pneumo-torace per lacerazione dei foglietti pleurici da moncone di frattura della quinta costa di destra”. La tesi di Merolla propende, dunque, per una tempesta di calci e pugni. Come da anni sostiene la famiglia del maresciallo della caserma di via Clitunno, nel quartiere Trieste-Salario.
Per cercare di risalire alla verità, una volta per tutte, adesso ci sono altri sei mesi di tempo.
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