3 Ottobre 2021 - 7:52 . Cronaca

La rivoluzione fallita, lo spettro dei vecchi sistemi: la rinascita di Roma deve passare dai quartieri

Roma
Roma

di Luigi Carletti

Nessuna città è facile da governare, soprattutto in tempi come questi. E Roma naturalmente lo è meno di tutte. Perché non è una città. È una vera metropoli costituita da decine di città – i suoi quartieri – ognuna delle quali ha gli stessi abitanti, le stesse dimensioni territoriali e gli stessi problemi di molti capoluoghi italiani.

Se non si parte da questo dato, non si capisce di quale portata è – o dovrebbe essere – la partita che si gioca oggi con le elezioni amministrative da cui dovrà uscire il nuovo governo di Roma. E a questo punto la domanda è: i quattro principali candidati (tra i 22 in corsa) hanno capito che senza un nuovo modello di governance i problemi della Capitale ben difficilmente si risolveranno?

In campagna elettorale i vari Gualtieri, Michetti, Raggi e Calenda si sono richiamati spesso alla necessità di ripensare il modello romano. Ne hanno parlato soprattutto Gualtieri e Calenda, riferendosi però sempre ai municipi, soggetti amministrativi che – salvo alcune eccezioni – non corrispondono alle tante anime di Roma. Perché sono i quartieri, e non i municipi, la vera spina dorsale, ed è solo partendo dai loro problemi (e dalle loro potenzialità) che si può mettere mano seriamente a una reale ripartenza della città, bloccata da anni (ben prima della giunta Raggi) in un pantano di cui non si vede la fine.

La legislatura che si chiude è stata per la gran parte desolante. Nell’ultimo anno Virginia Raggi ha cercato di cambiare marcia ma lo ha fatto soprattutto sul piano della comunicazione, mentre quello della concretezza fatto di progetti che si realizzano e di problemi che si risolvono è rimasto in gran parte un balbettio anche un po’ penoso. Così come penosi sono stati i recenti hurrà della giunta Cinquestelle alla notizia della candidatura di Roma per Expo 2030 avanzata da Mario Draghi. Tutti ci ricordiamo il muro alla candidatura per le Olimpiadi del 2024, una data che cinque anni fa sembrava lontanissima e che adesso è già qui, dietro l’angolo. E Roma grazie ai no dei Cinquestelle quel treno lo ha perso.

In realtà in questa legislatura, Roma di treni ne ha persi molti e nella competizione globale con le altre grandi capitali è in affanno. È in gravissimo ritardo. Ai problemi endemici e anche un po’ vergognosi come i rifiuti, i trasporti, le infrastrutture pubbliche, si somma l’assenza di un piano di sviluppo per il prossimo decennio che ne faccia una città in grado di attirare investitori e giovani talenti. Roma si presenta al visitatore ancora come nei peggiori film: il tassista che all’aeroporto tenta di fare il furbo, l’albergatore che su Internet ha raccontato storielle, il ristoratore del centro che siccome c’è stato il Covid invoca mani libere su tutto. Andare oltre queste piccole meschinerie si può e si deve, riportare Roma al livello che le compete è un’urgenza per tutto il Paese: lo avranno capito i nostri candidati? Di sicuro è caduta, fragorosamente, l’illusione della ventata “spazzasistema” che i Cinquestelle hanno cavalcato cinque anni fa. Adesso speriamo che non tornino i sistemi precedenti.

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