22 Giugno 2019 - 13:48 . Trieste-Salario . EXTRANEWS

Chi era Francesco Tommasi, il pilota precipitato a Villa Ada e a cui i Savoia hanno dedicato una lapide nel parco

Non basterebbe una vita per conoscere tutti i segreti che si nascondono all’interno di Villa Ada, l’enorme polmone verde del Trieste-Salario. Tra gli edifici della famiglia reale, i bunker sotterranei, i templi e i monumenti, basta fare una passeggiata per scoprire nuovi enigmi. Come quello della misteriosa stele ritrovata nel fitto bosco che collega la frazione del parco Rabin con il resto della villa.

Lungo il muro di cinta di via Salaria, celata dalla vegetazione incolta, c’è una lastra squadrata di marmo con un’incisione. “Serg. Magg. Pilota Tommasi Francesco 20 aprile 1942”, c’è scritto. Risale a 77 anni fa. Ma chi era Francesco Tommasi? E perché la sua lapide è posizionata all’interno dell’area verde? Lo abbiamo scoperto con l’aiuto di Lorenzo Grassi, coordinatore dell’Osservatorio Sherwood, l’associazione ambientalista attiva per la tutela del patrimonio storico e vegetale della grande villa storica del quartiere.

Il vero nome del defunto, in realtà, è Giuseppe Tomasi. Era nato a Trieste, città a nord est d’Italia, il 3 luglio del 1915. A ventisette anni, età in cui il pilota ha tragicamente perso la vita, era maresciallo di terza classe nell’esercito italiano, e faceva parte del 51° Stormo Caccia, con base all’aeroporto di Ciampino. Nel 1942, nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, Tomasi stava effettuando un volo di addestramento in formazione, per imparare a sincronizzare il movimento di più caccia monoposto a distanza ravvicinata. Normale quotidianità per un militare, ancor più se il suo esercito si trova nel pieno di un conflitto globale.

Ma il 20 aprile di quasi ottant’anni fa, il giorno riportato sulla lapide nascosta di Villa Ada, proprio durante uno di quei voli di prova, l’aereo di Tomasi andò a sbattere contro quello del sergente maggiore Di Pauli, provocando un forte schianto. Il pilota Giuseppe Tomasi era poi precipitato nel cuore dell’enorme area verde del Trieste-Salario, perdendo la vita nell’impatto.

In quegli anni la Villa non era ancora pubblica, ma apparteneva alla famiglia reale italiana, i Savoia. E furono proprio loro i primi ad avvertire il boato. Solo per un caso, i resti dell’aereo, precipitando, non avevano colpito qualche edificio all’interno del terreno. A sentire il fragore, in quel lontano giorno di primavera, c’era anche Enrico d’Assia, il figlio della principessa Mafalda, che visse per molti anni nel comprensorio di Villa Ada. Si trovava in casa sua, a Villa Polissena, quando scorse le fiamme dalla terrazza.

E “una densa cortina di fumo che oscurò quell’angolo di bosco fitto di lecci”, come racconta il nobile nel suo libro “Il lampadario di cristallo”. E aggiunge: “Mi impressionò molto”. Subito dopo l’incidente, il re d’Italia, Vittorio Emanuele III di Savoia, fece porre la stele sul luogo della sciagura in memoria dell’aviatore morto. Proprio lungo il muro di cinta di via Salaria, dove si trova ancora oggi, nascosta nel bosco.

Da via Salaria a corso Trieste, l’eco del botto raggiunse tutto il quartiere. Tanto che, come scrive Grassi sul suo blog, negli anni è stato rintracciato anche un testimone diretto dell’incidente aereo. Si chiama Antonino Gargiulo e all’epoca era uno studente del liceo classico Giulio Cesare, istituto storico del nostro quartiere. Mentre seguiva le lezioni, l’alunno vide l’impatto fra i due velivoli. Lo “spettacolo” stava avvenendo proprio nella parte di cielo che sorvolava la scuola.

Infine, anche la lapide in memoria dei Caduti dell’Aeronautica, presente al cimitero monumentale del Verano, conferma l’esistenza del pilota morto in Villa Ada. “Nel monumento è riportato il nome Giuseppe Tomassi (in versione errata)”, conclude Grassi. Il Trieste-Salario ha un immenso patrimonio nelle sue ville storiche. Prima tra tutte, Villa Ada. Tanto che alcuni episodi avvenuti nel territorio vengono dimenticati perché ritenuti meno rilevanti di altri. Come la triste storia del pilota Giuseppe Tomasi.

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