7 Dicembre 2020 - 17:39 . Nomentana . EXTRANEWS

Chi è Dante, l’uomo che da più di 40 anni gestisce il bar di Sant’Agnese ed è stato citato in un libro che ha vinto lo Strega

di Antonio Tiso

Da più di 40 anni prepara i caffè al bar della parrocchia di Sant’Agnese. Dante Braido, 84 anni, nativo di Vittorio Veneto, è un uomo mite, dagli occhi azzurri quasi trasparenti. Ti accoglie con la sua gentilezza e un garbo antico. Ogni mattina apre il locale alle 7 e per 12-13 ore presidia il suo bancone. Il bar è tutto un via vai di turisti, famiglie, anziani e ragazzi. Poi la sera è il figlio a prendere le redini del locale e a chiudere intorno alle 23, quando sui campi sportivi si spengono le luci.

Dante è un volto storico del quartiere, ma la sua storia parte da lontano, da un piccolo paesino in provincia di Treviso. Era il 1940 quando il padre scese con la famiglia per lavorare come operaio alla costruzione di Latina e poi alla bonifica di Campo Leone. Poi, dopo la guerra, l’arrivo a Roma. “Inizialmente mi sentii nel posto sbagliato -racconta Dante -. La Capitale mi spaventava, con i suoi grandi palazzi e le persone ben vestite. Solo col tempo divenne davvero casa mia. Da principio non c’era da mangiare. E così, giovanissimo lavorai come bracciante nella campagna di Vallericcia, e poi come barista a via Nazionale e a via Veneto”.

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Come arrivò invece nel Trieste-Salario è una storia sorprendente: “Giocavo a bocce a San’Agnese, dove c’era un circolo famoso. Quando il barista venne a mancare, rilevai io la gestione. Ho passato metà della mia vita qua dentro, ma ne sono ancora innamorato. Tutti mi hanno sempre voluto bene”. E in effetti quest’angolo di quartiere, appartato e circondato dal verde, è un microcosmo di bellezza e storia, unico nel suo genere: in pochi metri quadri, scendendo gli scalini e percorrendo gli ombrosi vialetti, si passa dalle catacombe alla basilica di Santa Agnese del IV secolo, dal Mausoleo di Santa Costanza ai campi da basket e da calcetto. Edoardo Albinati, quando scriveva la Scuola cattolica, il romanzo con cui ha vinto il Premio Strega, veniva spesso qui e si sedeva ai tavolini del bar a lavorare. Dante viene persino citato nel libro, tanto che lo scrittore gli portò poi una copia.

Tra i ricordi meno lieti ci sono due momenti che vengono in mente al barista, quelli in cui la pace di questo luogo fu minacciata, un valore che lui ha sempre cercato di preservare: “Negli anni di piombo c’era un gruppo di estrema destra che veniva dai Parioli e dava fastidio ai ragazzi in blue jeans, pensando fossero di sinistra. E poi nel 2008 ci fu un periodo di crisi perché gli anziani bocciofili non volevano i bambini. Facevano troppo chiasso, dicevano. In realtà volevano solo essere i padroni assoluti. Il risultato fu che il parroco, don Franco Bergamin, oggi abate, chiuse i campi da bocce. Perché se c’è un punto cardine di questo posto è che appartiene a tutti”.

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