Albinati e il senso dell’amore

Al Festival della Mente di Sarzana Edoardo Albinati ha parlato di amore. L’amore di cui racconta nel suo ultimo romanzo, “Un adulterio” (Rizzoli 2017), una relazione tra una donna e un uomo entrambi sposati e, paradossalmente, soddisfatti delle proprie vite. Eppure tra Erri e Clementina, protagonosti del romanzo, scoppia la passione. Ma cos’è l’amore? Una forza incontrollabile che ci fa invaghire di una persona fino a perdere la ragione oppure un legame talmente profondo da legarci a qualcuno per tutta la vita? La durata di una relazione dipende da sconosciute leggi alchemiche o no? Albinati, vincitore nel 2016 del Premio Strega con “La scuola cattolica” (Rizzoli), ha risposto a domande su questi temi. Tirando fuori anche il suo pensiero sul matrimonio.

La stabilità è destinata a rimanere una chimera? “La stabilità è un mito – ha detto lo scrittore – nessuno la raggiunge. È chiaro che il matrimonio ha come suo scopo la durata, dunque la stabilità, ma la durata può voler dire anche violenza quotidiana. Un rapporto sadico che dura a lungo non è una grande cosa, mentre ci possono essere rapporti brevi molto intensi. I rapporti erotici spesso sono tali”. Il senso del matrimonio oggi qual è? “Finché era un’istituzione sociale il matrimonio non c’entrava niente con l’amore. Da quando ci si sposa per amore, ha un fondamento capriccioso, volubile, quindi è più facile che si spezzi, si basa su un sentimento che appare e scompare. Ci sono persone che si amano tutta la vita e questo è fantastico, ma altre a un certo punto smettono di amarsi oppure, pur amandosi, si guardano intorno”.

Lo scrittore in una visione affascinante dell’innamorato fa anche riferimento al mondo antico. “Una caratteristica del desiderio – prosegue – è la sua frenetica intermittenza, che può riaccendersi o spegnersi. Il mondo antico riconosceva delle forze disumane, extraumane o sovrumane che dettavano la vita degli uomini. Si diceva che l’ira, la vendetta, l’amore, la morte, la poesia, la letteratura venivano da fuori, dagli dei. Tu venivi ispirato – afferma lo scrittore – posseduto letteralmente, da qualcosa che ti rendeva capace di gesta meravigliose e terribili. E questa idea, secondo me, è più vera di quella che sostiene che siamo noi, con la nostra interiorità, a produrre decisioni, intenzioni. Credo che la figura classica dell’innamorato posseduto da una forza che gli fa fare qualsiasi sciocchezza, che lo spinge anche a distruggere e autodistruggersi, sia più aderente alla realtà”.

 

(Cristiana Ciccolini)

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