Trieste-Salario | Articoli

Nella casa famiglia dove si impara ad essere autonomi

di Marco Liberati

Paola accarezza dolcemente la gattina sul divano. Accanto a lei c’è Fabio che parla con Angela, la responsabile della casa famiglia di via Dalmazia. Nel Trieste-Salario, non molti lo sanno, esistono quattro strutture dedicate a chi è nato con difficoltà cognitive e non è in grado di vivere autonomamente. Grazie a case come questa, invece, c’è la possibilità sentirsi parte di una nuova e vera famiglia.

“Qui vivono otto persone – ci spiega Angela Pranteda, psicologa e responsabile degli ospiti – e tutto funziona come in una qualsiasi casa”. Ci si sveglia la mattina, si prepara a turno la colazione prima di andare al lavoro. La sera viene preparata la cena prima delle chiacchiere e di uno sguardo alla tv. E ci sono regole da rispettare. “Abbiamo diversi tipi di disabilità mentali, comunque leggere – continua Angela -, come sindrome di down o forme di autismo”.

Autonomia è la parola d’ordine: “Cerchiamo di aiutarli nel riuscire a fare da soli, ma il nostro impegno è costante, sono seguiti in continuazione”. Sono sette gli operatori che si alternano nell’arco delle 24 ore. Dal lunedì al venerdì si svolgono le attività abituali, mentre il fine settimana è dedicato allo svago. C’è il cinema, la piscina quando il tempo lo consente, ma anche il teatro. “L’estate poi andiamo in vacanza – spiega Giacomo Cantagallo, il general manager della cooperativa Gma, che gestisce la casa famiglia -. Quest’anno, per esempio, andremo a Scalea, in Calabria, dall’8 al 15 luglio”.

Quella di via Dalmazia è una casa accogliente, che lascia fuori la porta tutto quello che potrebbe minare l’equilibrio di chi ci vive. “Serve grande sensibilità da parte degli operatori – spiega Angela – ed è indispensabile entrare in sintonia con gli ospiti». Gli abitanti di questa casa hanno bisogno di essere coinvolti in qualsiasi genere di attività, perché «l’inclusione fa parte della nostra terapia, ma ognuno deve essere considerato singolarmente: non è ammesso trascurare nessuno”.

Chi viene a vivere in queste case famiglia? Chi ha genitori anziani, chi è rimasto solo o chi non ha più nessuno in grado di sostenerlo. Regalare una seconda possibilità di vita dovrebbe essere gratificante, ma non è sempre facile: “Siamo alla ricerca di un nuovo appartamento – ci spiega Cantagallo -, ma ci troviamo di fronte alla resistenza di molti proprietari, che si bloccano di fronte alla parola casa famiglia, nonostante le garanzie presentate”. Basta poco a volte – anche dare una casa in affitto – per non lasciare nessuno fuori, per non far sentire nessuno escluso.

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