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Ecco cosa lega il Mammut di cui tanto parla Zerocalcare al Tiburtino

di Barbara Polidori

Sapevate che persino a Roma sono state rinvenute tracce di elefanti? Tornando indietro di più o meno 600.000 anni fa, l’impressione era quella di trovarsi nel cuore del continente africano. Eppure questa è Roma, questo è il Tiburtino.

Un barrito, all’improvviso, rivela la presenza dei veri padroni del territorio: gli elefanti.

Per vederli passare, basta spingersi tra il Verano e la stazione Tiburtina, nella zona di confine con il quartiere Nomentano. Più precisamente in via della Lega Lombarda. Qui circa 650.000 anni fa, si estende una grande steppa erbosa. Siamo in una fase di forti oscillazioni climatiche. È una delle tante glaciazioni, quel freddo pungente che avvolge le zone più a nord, a spingerle in questa terra i grandi elefanti antichi.

Tra questi c’è un loro simile, ma ha tutte le caratteristiche per resistere a temperature sempre più basse, senza problemi, il Mammut meridionale. L’elefante antico, invece, viene ad affacciarsi sul Mediterraneo, in cerca del calore che sembra svanito dal suo ambiente originario.

È erbivoro, ma se carica un avversario bisogna avere paura: le sue zanne, dure e resistenti, possono raggiungere i quattro metri di lunghezza. Sfiorano il suolo, incurvandosi alle estremità. Sono così forti che rimangono intatte per millenni.

E ritornano in superficie, inaspettatamente.

È quello che accadde tra il 2010 e il 2012. Qui, in via della Lega Lombarda, sono iniziati i lavori per la demolizione del vecchio deposito Atac di Portonaccio con la rimessa dei filobus, poi autobus, le officine e gli uffici. Il cantiere viene aperto, tutto procede secondo i piani. I macchinari scavano in profondità, attraversano un grande blocco di tufo. Si scende fino a 12 metri sotto il livello del suolo. E ci si ritrova davanti uno spettacolo sorprendente.

Qui sotto c’è un deposito fossile.

Tra strati di fango e ghiaia si scopre il filo di una zanna di elefante. È lunga quasi 3 metri. Accanto c’è anche un femore, forse dello stesso animale. E poi ossa di daino, di bue, di ippopotamo e persino le corna di un cervo.

Non c’è nulla di strano in tutto questo. Basta visitare il Museo Casal de’ Pazzi, aperto al pubblico nel marzo del 2015 per scoprirlo. Un indizio di cosa si possa rivivere qui si trova osservando uno dei muri della fermata della metropolitana di Rebibbia, dove si vede un grosso Mammut. Lo ha dipinto Zerocalcare, che vive in zona da sempre.

GUARDA: Come acquistare “La Storia del Tiburtino”

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