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Cento anni dalla nascita di Pasolini. Defiore (Sapienza): “Avremmo ancora bisogno di lui

di Clarissa Cancelli

Il 5 marzo Pier Paolo Pasolini avrebbe compiuto cento anni. Scrittore, regista, poeta, giornalista. Il suo profondo spirito critico gli permise di rivestire tanti ruoli. “Fu il più attento critico del concetto di ‘potere’ del Novecento italiano”. Lo definisce così Luciano Defiore, professore dell’università degli Studi di Roma La Sapienza, che quest’anno ha deciso di dedicare il suo corso di Storia della filosofia proprio al centenario della nascita di Pasolini.

Professore, qual è stato il messaggio che voleva dare agli studenti con il suo corso?

“Pasolini ha lasciato opere importanti per la cultura italiana del Novecento e anche per quella attuale. Credo sia giusto che tali opere siano conosciute anche dagli studenti di Lettere e Filosofia. Ho scelto di fare questo corso proprio per questo. E anche perché è molto meglio fare un corso in occasione di un anniversario di nascita, rispetto a quello di una morte. Pasolini è un personaggio che appartiene a un altro tempo, a un’Italia diversa da quella di oggi. Anche quell’Italia, però, manifestava dei segnali molto preoccupanti nel proprio sviluppo. Segnali che indussero una personalità così attenta e critica come Pasolini a spaventarsi, a dover dare degli avvisi, a emettere dei segnali per dire che lo sviluppo che il Paese aveva scelto non avrebbe portato a un vero progresso. Perché, per fare del bene alla gente, doveva essere accompagnato da ideali, da desideri di natura politica, cioè condivisi”.

Oggi stiamo vivendo un momento drammatico: la guerra tra l’Ucraina e la Russia. Quale sarebbe stata la visione di Pasolini di fronte a questa realtà?

“Pasolini, pur essendo un poeta, non era un pacifista nel senso stretto del termine. Amava la pace, partecipava a manifestazioni per la pace. Ma la cosa principale che avrebbe detto o che lo avrebbe guidato a un giudizio su quello che sta succedendo oggi tra Ucraina, Russia e Unione europea è che bisogna riflettere sulla natura del potere. Pasolini è stato il più attento critico del concetto di ‘potere’ del Novecento italiano. Lui lo scriveva con la ‘p’ maiuscola e diceva che il nuovo potere è senza volto, difficilmente riconoscibile. È più insidioso, si lascia vedere con maggiore difficoltà. Noi oggi stiamo purtroppo assistendo al confrontarsi tra dei poteri che sembrano prescindere dalla logica democratica, dalla volontà di pace che è prevalente largamente in Europa, ma anche negli Usa e in Russia. Il potere, invece, deve essere sempre un’emanazione della volontà popolare. Prima che schierarsi per uno o per l’altro, cosa che secondo me non è utile, e pur condannando l’aggressione del Paese più forte ai danni di quello più debole, dovremmo fare precedere tutto questo da un’analisi attenta dello statuto del potere: chi lo ha è per che cosa lo vuole usare. E in questo Pasolini sarebbe stato molto utile”.

Il professor Luciano Defiore

Ci sono molti eventi a Roma per celebrare il centenario. Uno tra questi si è tenuto il 4 marzo proprio alla Sapienza. Nella sala Odeion del Museo dell’Arte classica, c’è stata l’inaugurazione della mostra fotografica di Mimmo Cattarinich dal titolo “Sul set di Medea”, dedicata a Pier Paolo Pasolini. Come è nata l’idea di questa iniziativa?

“La rettrice Antonella Polimeni ha voluto questa mostra all’Odeion sulle foto di scena del set. Un set davvero molto particolare. L’occasione credo sia stata la disponibilità nuova di queste fotografie che era giusto vedere e valorizzare. È un film eccentrico nella produzione di Pasolini. Erano gli anni in cui si era dedicato allo spirito del tempo e alla critica della borghesia. ‘Medea’ invece torna alla questione del mito, molto importante per Pasolini, ma anche per la nostra attualità. Perché il mito presenta una riproposizione del tema del Sacro, che per Pasolini significa il residuo, lo scarto, il resto; quello che sembra non più essenziale e che spesso, invece, è un valore che viene conservato da istituzioni e da istituti come la famiglia, la vita contadina, le comunità religiose in cui questo senso delle cose ha ancora presa. Mentre tutto nella nostra società  sembra essere dominato dalla logica del consumo”.

Qual è la lezione più importante di Pasolini che i giovani dovrebbero sempre tenere a mente?

“Che il tempo non è una retta uniforme e che gli istanti non si succedono sempre in una logica vettoriale: il tempo può tornare su se stesso, può tornare indietro. E quindi anche ciò che costruiamo, come le istituzioni democratiche e le nostre pratiche migliori, non sono valori eterni. Possono essere smontati, rimangiati, risucchiati. Pasolini riteneva che questa multitemporalità del presente, in cui ancora era possibile notare vene di passato e anticipazioni del futuro, fosse una ricchezza. E questo perché avrebbe consentito a noi di tornare indietro rispetto allo sviluppo attuale, troppo segnato dal consumismo, per imboccare un nuovo fiume del progresso. A uno studente di oggi Pasolini insegna proprio questo: la storia non è solo un andare in avanti, ma consiste anche in arresti. Ci possono essere fasi regressive. Per questo dobbiamo stare molto attenti per fare sì che ciò non avvenga e mantenere dritta la barra del timone del progresso”.

 

 

 

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