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Murati nella chiesa di San Gioacchino: così furono salvate decine di persone

di Sergio Campofiorito

Murati vivi per sfuggire alla follia nazista, rannicchiati in silenzio in un sottotetto dove l’unico conforto è la preghiera. Nel 1963 lo stato di Israele istituisce il titolo di “Giusto tra le nazioni” da conferire ai non ebrei che, senza interesse personale e anche a rischio della propria vita, si sono adoperati per salvare persone dal genocidio nazista. L’Italia conta 682 “Giusti tra le nazioni”.

Il nascondiglio

Anche Prati ha i suoi Giusti tra le nazioni, quattro sono legati a una parrocchia. La chiesa di San Gioacchino, in via Pompeo Magno, è la protagonista di questa storia incredibile, scoperta quarant’anni dopo i fatti. Il sottotetto dell’edificio ospitò, per sette mesi, ebrei, ricercati e disertori, tutti murati vivi all’interno.

Lo stratagemma fu deciso dall’ingegner Pietro Lestini, di Azione cattolica, e dalla figlia Giulia. Insieme a loro, padre Antonio Dressino e soprattutto suor Margherita Bérnes, che per tutto questo tempo cucinò per le oltre trenta persone che si alternarono in quella soffitta, rifugio fondamentale per scampare dal rastrellamento dei tedeschi. Per impedire che venissero trovati fu deciso di chiuderli dietro a un muro di mattoni, isolati dal resto del mondo. Il solo modo per respirare aria e ricevere cibo era attraverso il rosone, l’unico passaggio utilizzabile. C’è un problema però: la volta della chiesa è fragile e i rifugiati, tra cui i fratelli Finzi e Leopoldo Moscati, possono utilizzare solo delle passerelle di legno larghe giusto due metri.

Il rifugio di San Gioacchino in Prati

La fine di quest’incubo arriva il 7 giugno del 1944, dopo l’arrivo delle truppe alleate a Roma e la riapertura di questo rifugio che è stato la salvezza di tante persone. Per questo la parrocchia di San Gioacchino in Prati è stata riconosciuta come “Casa di vita” dalla Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg.

LEGGI questa e altre storie nel libro “La Storia di Prati”


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