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Il titolare dell’agenzia Scifoni: “Così avvengono i funerali al tempo del Covid-19”
di Paolo Riggio“Famiglie spaesate, polemiche sui prezzi, morti da Covid-19, nessun presidio fornito e tante difficoltà da gestire. Ma quello che ci è mancato di più è stato il contatto umano. È durissimo lavorare ai tempi del Coronavirus”. A raccontarlo è Valerio Scifoni, 30 anni, figlio di Massimo e titolare della storica impresa di onoranze funebri Fratelli Scifoni di via Flaminia, tra le più grandi di Roma nord. A partire dal 4 maggio, stando alle disposizioni dell’ultimo decreto di palazzo Chigi, ai funerali potranno partecipare i parenti più stretti fino a un massimo di quindici persone tutte dotate di mascherine. Non un “libera tutti”, certamente un passo avanti rispetto alle restrizioni delle ultime settimane.
Il tema è sempre stato delicato. A maggior ragione in questi mesi. Ma Valerio Scifoni non vuole fare paragoni con la drammatica emergenza che ha colpito il nord Italia: “Siamo in contatto con alcune imprese funebri di Bergamo – spiega a RomaH24 -. Ci chiamano piangendo, disperati, ci dicono che non ce la fanno più. Ricevono dieci chiamate l’ora, noi qui siamo sulle trenta al mese. Lì è il vero dramma”.
Scifoni, com’è cambiata la vostra professione in questi giorni di emergenza?
“Sono cambiate le procedure. Mascherine, guanti, tute speciali per i casi di Covid-19, nessuna cerimonia in chiesa e, soprattutto, nessun contatto umano con le famiglie dei defunti. Stare vicino ai familiari in questi momenti è la parte più gratificante del nostro mestiere. Non poterlo fare ci è dispiaciuto”.
Cioè?
“Ricordo un signore che aveva appena perso la moglie. Voleva abbracciarmi in continuazione, voleva che gli rimanessi accanto. Ma io non potevo, dovevo attenermi alle misure anti contagio. In momenti come questi, anche una pacca sulla spalla può fare la differenza. E poi, senza criticare né biasimare nessuno, ci sono state tante polemiche alle quali non eravamo abituati”.
Polemiche, per cosa?
“Non potendo svolgere la messa in chiesa, c’era chi voleva spendere meno. Quando non puoi salutare il tuo papà o la tua mamma con una cerimonia, è molto più difficile metabolizzare il lutto. Credo che alla radice di tutte queste polemiche ci sia stato proprio questo”.
Ossia, un profondo spaesamento?
“Esattamente. I familiari avevano paura. Erano confusi. Avrebbero voluto affidarsi maggiormente a noi, ma purtroppo le misure restrittive non ce lo hanno permesso fino in fondo”.
Gestire questi momenti può essere davvero difficile. Come avete fatto?
“Abbiamo provato a spiegare che per noi cambiavano poco le cifre: dovevamo comunque pagare la fornitura della cassa, del carro funebre, espletare le pratiche cimiteriali e anagrafiche. In poche parole, per noi le spese sono rimaste quelle. Abbiamo anche fatto qualche sconto naturalmente, venendo incontro ai clienti. Ma, ripeto, capisco la loro frustrazione”.
Vi è successo di dover seppellire dei defunti da Covid-19?
“Purtroppo sì. Tre. Abitavano al Flaminio, ai Parioli e al Trieste-Salario”.
Come vi siete attrezzati?
“Non è stato facile, sotto molti aspetti. I pazienti Covid non potevano essere vestiti, salutati dai parenti, visti e toccati. Ci siamo recati negli ospedali con una sola macchina. Di solito ne inviamo più di una. Naturalmente, i presìdi sanitari ce li siamo procurati da soli”.
Le istituzioni non vi hanno aiutato in questo senso?
“Assolutamente no. So che può stupire visto che noi, al pari dei medici e degli infermieri, abbiamo affrontato in prima linea questo virus. Ricordo che il Coronavirus può trasmettersi anche tramite i defunti, per qualche ora. Per dotarci dei presìdi abbiamo contattato un’azienda italiana e una straniera. Abbiamo utilizzato mascherine FFP3 senza filtro, le migliori, guanti anti-contagio e tute speciali molto simili a quelle che usano in ambulanza”.
Glielo dobbiamo chiedere: in questi giorni avete incrementato il fatturato?
“No, lo escludo categoricamente. A Roma, per fortuna, l’emergenza Coronavirus non ha mietuto un numero elevato di vittime. Qui in città avvengono 130 decessi al giorno, per un totale di 30 mila l’anno. Se controllate le cifre, siamo perfettamente in linea con il 2019”.
Come se lo spiega?
“La gente è rimasta a casa. Ci sono stati meno incidenti stradali e meno vittime di delitti. L’unico nemico da combattere è stato il Covid-19”.
C’è qualcosa che l’ha toccata profondamente durante questa emergenza?
“Tante. Non dimentico il mio collega di Bergamo che qualche giorno fa mi ha chiamato disperato. “Non ce la faccio più”, mi ha detto. E poi non scorderò mai l’espressione di Mario Mazza, il socio di mio padre”.
Cosa è successo?
“Ero con lui quando abbiamo ricevuto la notizia che le messe sarebbero state vietate durante la pandemia. Mi ha guardato con degli occhi che non dimenticherò mai. Ha 70 anni, lavora in questo campo da sempre, pensava di aver visto di tutto. Ma era totalmente impreparato, era sotto shock. Stava per iniziare un’emergenza che ricorderemo per sempre e lui l’aveva capito subito”.
Ha letto della truffa al cimitero di Prima Porta?
“Un’agenzia ha fatto finta di cremare il defunto. Siamo arrivati a questo. Tutto per incassare 800 euro. Ci tengo a dire che la responsabilità è solo di quella specifica agenzia. L’Ama, che gestisce i cimiteri, non c’entra nulla. Questo è un settore dove girano tanti soldi e le licenze le possono prendere tutti, conta solo l’etica. Se non hai etica e sei interessato solo al guadagno, non puoi continuare a fare questo mestiere e noi che lo facciamo da ottant’anni lo sappiamo bene”.