Mazzini | La Storia

7 agosto 1990. Il giallo di via Poma raggela l’estate romana

di Sergio Campofiorito

L’ingresso di via Carlo Poma 2 è ingentilito da una bassa siepe, tra le sbarre del cancello si intravede un bel cortile dove zampilla una fontana. Palazzine degli anni Trenta, di pregio, lo incorniciano. Sembra impossibile che qui, a due passi da piazza Mazzini, possa avvenire un omicidio la cui ombra si allunga dal 7 agosto 1990. 

La vittima è una ragazza di 21 anni, la sua immagine dai serici capelli corvini adagiati sulla sabbia diverrà tristemente famosa in tutta Italia. Si chiamava Simonetta Cesaroni e il suo omicida è ancora a piede libero.

Quel giorno Simonetta lavorava agli uffici dell’Associazione italiana alberghi della gioventù, era entrata intorno alle 16, alle 17.35 risponde a una telefonata, poi il silenzio. Le ricerche iniziano alle 20.30, su iniziativa della sorella Paola e, purtroppo, sono assai brevi. Il cadavere della ventunenne, spoglio di vesti, giace al terzo piano in una pozza di sangue, martoriato da ventinove coltellate.

Il primo indiziato è il portiere dello stabile, Pietrino Vanacore, il test del Dna lo scagionerà totalmente ma sospetti, indagini, mandati di perquisizione gli rovinano per sempre l’esistenza. Il 20 marzo 2010, a Marina di Torricella (Taranto), si lega un piede a un albero vicino alla scogliera e si getta nell’amalgama schiumosa del mare. Sul tergicristallo della sua auto trovano un biglietto: “Venti anni di sofferenze e sospetti ti portano al suicidio”.

Avrebbe dovuto deporre all’udienza contro il secondo indiziato del caso, l’ex fidanzato di Simonetta, Raniero Busco. In primo grado, nel 2011, verrà condannato a ventiquattro anni di carcere, la Cassazione lo reputerà innocente nel 2014.

Oggi, trent’anni dopo, il bel palazzo di via Poma custodisce ancora il nome dell’assassino.

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