Prati | La Storia

6 maggio 1527: quando da Prati partì il sacco di Roma

di Sergio Campofiorito

Nel 1527, si abbatte su Roma un flagello che ancora i cittadini non conoscevano. Ancora una volta, è Prati l’avanguardia più esposta, il luogo in cui si giocano le sorti della città.

Il 6 maggio 1527 il cielo è solcato da colpi di cannone provenienti dalla terrazza di Castel Sant’Angelo. Lassù c’è anche Benvenuto Cellini, orafo fiorentino che da qualche anno è alla corte di papa Clemente VII come musicista. Dietro di lui ci sono cardinali e signori tremanti che lo benediscono per l’impresa straordinaria che si appresta a compiere, davvero al di fuori delle sue mansioni.

Arrampicato vicino all’angelo, nel punto più alto del bastione, Cellini spara contro i Lanzichenecchi, i mercenari al soldo di Carlo V. Si sono accampati tra le vigne e gli orti che punteggiano la campagna di Prati e hanno dato l’assalto con tutta la rabbia e la violenza di uomini affamati. Non vengono pagati da tempo e l’unico modo per ottenere qualcosa è saccheggiare tutto quello che c’è a disposizione.

Davanti a tutti, di bianco vestito per distinguersi, Carlo di Borbone guida l’attacco. Il magro cavaliere dai folti capelli corvini ha marciato a lungo alla testa di un esercito sfinito e privo di munizioni. Per questo, prima dell’assalto, ha infiammato l’animo dei suoi con promosse di ori e ricchezze senza fine. Prenderle è giusto perché quelli che stanno rinchiusi oltre le mura “sono tutti immersi in un libidinoso ed effeminatissimo ozio”.

Carlo di Borbone tenta la scalata all’odierna Porta Cavalleggeri ma d’improvviso cade a terra. Cellini, con la maestria di un tiratore scelto, lo ha colpito a morte. Tra i mercenari si scatena il caos, i Lanzichenecchi entrano in città dove non esiste luogo dove nascondersi: le chiese vengono profanate, reliquie e arredi rubati e distrutti, la popolazione assiste impotente mentre le donne, anche le suore, vengono stuprate. Girando per le strade si incontrano più morti che vivi tra le macerie di una città che si stenta a riconoscere.

Gli invasori, oltre alla devastazione, hanno portato anche le peste. Per gli storici è un disastro tale che quel 6 maggio segna la data della fine del Rinascimento. La follia distruttiva del sacco di Roma si placherà soltanto dopo mesi, con il ritiro degli invasori nella notte tra il 15 e il 16 febbraio 1528.

LEGGI questa e altre vicende del quartiere nel libro “La storia di Prati”


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