22 Maggio 2019 - 16:46 . Prati . Cronaca

Editoriale. Le occasioni perdute dei Cinquestelle

Virginia Raggi
Virginia Raggi

di Luigi Carletti

Nelle critiche che quasi quotidianamente riceviamo per le valutazioni espresse sulla giunta Raggi, ci sono almeno tre motivi ricorrenti: il primo è quello di non considerare la situazione di Roma che i Cinquestelle hanno ereditato dalle amministrazioni precedenti. Il secondo è quello di parlare senza essere informati sul lavoro dell’attuale amministrazione. Il terzo è di parlare così perché connessi ad altri schieramenti, in particolare a quel centrosinistra a cui un editore-direttore che per molti anni ha lavorato nel Gruppo Espresso-Repubblica, non può non essere legato.

Si tratta di critiche abbastanza semplici da confutare, e lo faremo. Ma da un’angolazione che alla polemica privilegi l’analisi, nel tentativo di dialogare con quei lettori “grillini” in grado non solo di valutare lucidamente la situazione di Roma, ma anche di comprendere che difendere legittimamente un’idea (politica, sociale, filosofica) non significa automaticamente tapparsi gli occhi di fronte alla qualità di una classe politica improvvisata e spesso presuntuosa che in questi tre anni ha manifestato un’inadeguatezza sconfortante. Inadeguatezza, lo precisiamo subito, non tanto rispetto alle amministrazioni precedenti, capaci di schierare (tra gli altri) personaggi che meriterebbero certamente la manzoniana “colonna infame”, ma rispetto alla portata dei problemi di cui Roma reclama non solo soluzioni, ma anche (e soprattutto) orizzonti progettuali che parlino di futuro e non semplicemente di “uscite d’emergenza”.

Ed è proprio in quest’ambito che i Cinquestelle – ad oggi – sembrano aver perduto la loro grande occasione. O meglio, le molte occasioni che la Capitale – con i suoi enormi problemi e i suoi altrettanto gravi ritardi – riservava a chi, tre anni fa, arrivava in Campidoglio sulle ali di un consenso molto forte. Virginia Raggi e gli altri del suo “dream team” avrebbero avuto l’opportunità di dare da subito dei segnali inequivocabili e di fare, soprattutto di “fare”, piccole e grandi cose che davvero dessero il senso di quel cambiamento epocale tanto annunciato.

Perché questo non è avvenuto? Perché a un dialogo della ri-costruzione laico e propositivo con i soggetti più dinamici, puliti e indipendenti della città (che ci sono, checché se ne pensi) si è preferito anteporre la propaganda di stampo elettorale, come se le urne non avessero ancora parlato. Quella propaganda ossessiva e stonata sulla “diversità” che in fin dei conti denuncia due complessi paralleli e ugualmente dannosi: il complesso di accerchiamento e il complesso di inferiorità. Questo ha portato alla cooptazione di amici e fedelissimi, sistema che non ha fatto che riprodurre – al ribasso – il peggior modello del centrosinistra e del centrodestra, con la differenza che i precedenti schieramenti – tra i molti discutibili soggetti – comunque potevano contare anche su qualche risorsa collaudata e sperimentata, quindi con delle oggettive capacità.

Qui, ciò che si è visto, è stata una mortificante passerella di dimissioni e defenestramenti appesantiti da inchieste giudiziarie, con un turn-over di assessori, funzionari, tecnici e sodali le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti in termini di efficienza dei servizi, a cominciare da quelli fondamentali che più impattano con la quotidiana percezione dei cittadini e di chiunque si trovi a frequentare la Capitale. E speriamo che gli elettori/lettori grillini ci perdoneranno se non ci attardiamo nel consueto elenco di ciò che non va, non è stato risolto o è addirittura peggiorato. Trattasi, purtroppo, di un elenco che tutti i romani conoscono molto bene grazie alla sperimentazione diretta di ogni giorno.

Ciò che gli ultrà del Movimento ancora oggi sembrano non voler comprendere, è che esiste anche una città che non li ha votati ma che non li guarda come nemici: tutt’altro! Perché è una città consapevolmente moderna: non è ideologica ma ha degli ideali, rifugge la retorica ma ha valori democratici, non è connessa ai poteri precedenti ma valuta l’affidabilità dell’interlocutore, non è succube dei poteri forti ma conosce le gerarchie dell’economia. Una città che, soprattutto, è pronta a riconoscere chiunque sappia fare, risolvere, gestire. Pronta a riconoscere chi dialoga e chi progetta avvalendosi di talenti, competenze, professionalità. Qui, a nostro modo di vedere, sta la grande occasione perduta dai Cinquestelle: non aver compreso che il mondo sta realmente cambiando e che il loro successo elettorale, per diventare davvero “rivoluzione”, dalle urne avrebbe dovuto trasferirsi concretamente nel governo di una città certo difficile da gestire ma che – mai come oggi – si trova al bivio tra decadenza e sviluppo.

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