24 Marzo 2021 - 17:10 . Prati . Cronaca

24 marzo 1944: nella strage delle Fosse Ardeatine muoiono anche alcuni figli del quartiere

Pietra d'inciampo di Alfredo Sansolini
Pietra d'inciampo di Alfredo Sansolini

Una ricorrenza triste per Roma e anche per il quartiere, quella del 24 marzo. Alle 22.55 del 1944, i nazisti, in risposta alla carneficina di via Rasella nella quale persero la vita 32 soldati tedeschi, fucilano 335 italiani, tra militari e civili.

Pietra d’inciampo di Cesare Astrologo

Tra questi ci sono anche alcuni figli di Prati: Cesare Astrologo, il generale Simone Simoni, Unico Guidoni e Alfredo Sansolini. Lungo le vie del quartiere pietre d’inciampo e targhe affisse sui muri dei palazzi ricordano la loro uccisione. Cesare Astrologo viene ricordato in via Vespasano, Simone Simoni in via Ferrari 2, Unico Guidoni in via Confalonieri 2.

La strage delle Fosse Ardeatine è una rappresaglia nazista ai fatti, antecedenti di un giorno, di via Rasella. Alle 15.45 del 23 marzo 1944 un boato scuote la strada. La miccia è stata accesa da Rosario Bentivegna, travestito da spazzino, che ha portato l’ordigno dentro un carrettino della nettezza urbana. L’obiettivo è la colonna di soldati del battaglione tedesco “Bozen” che, quasi ogni giorno, passa per via Rasella di ritorno dalle esercitazioni al poligono di tiro di Tor di Quinto. Dietro di loro, però si accodano alcuni bambini per giocare alla guerra, seguono la milizia che intona le note di “Hupf mein mädel” (Salta ragazza mia, salta). Per strada ci sono anche molti passanti, attirati dall’apertura pomeridiana dei negozi.

Attentato di via Rasella

Sarà una carneficina. Il boato che si sente è terrificante. Uno dei superstiti, Konrad Sigmund, racconterà in seguito che la potenza della bomba è stata amplificata dall’esplosione a catena delle granate che i soldati tedeschi portavano nella cintola. L’onda d’urto è talmente devastante che i vetri delle finestre vanno in frantumi, cadendo in schegge sui soldati. Un autobus sbanda e termina la corsa contro i cancelli di Palazzo Barberini.

Nell’esplosione muoiono sul colpo ventisei soldati, altri sei spireranno in seguito per le ferite riportate. Tra i civili, anche un bambino, Piero Zuccheretti, il cui corpo viene dilaniato dalla deflagrazione. I tedeschi pensano che si tratti di un bombardamento, ma realizzano poco dopo che è un attacco. Nel frattempo i gappisti sono usciti dai loro nascondigli e quattro granate vengono lanciate in mezzo al nemico confuso. C’è sangue ovunque, il fumo riempie ancora l’aria quando sul posto arriva il questore Piero Caruso, il generale Kurt Mazler e il comandante delle SS Herbert Kappler. Mazler, colto dall’ira, vorrebbe far saltare in aria l’intero quartiere ma l’intervento di Kappler lo riconduce alla calma. La rappresaglia escogitata è tremenda: per ogni soldato ucciso (in totale 32) vengono fucilati dieci italiani.

A strage compiuta, il comando tedesco di Roma emana il suo dispaccio: “Il Comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti-badogliani saranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito”.

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