Roma, 18 Aprile 2024 - 10:12

Cose e case di Prati

Roberto Veneziani

Architetto e cultore della storia di Prati

14 Gennaio 2020

Come era Prati una volta, così i palazzinari hanno trasformato il nostro quartiere

Abbiamo visto come alla fine degli anni Venti il quartiere sia ormai completamente definito nella sua struttura viaria, e i lotti saturati diciamo al 70%. Nel piano regolatore del 1931 varato dal Governatorato di Roma, possiamo notare i retini colorati con le tre destinazioni d’uso previste: quasi tutto il quartiere è a destinazione intensiva (retino marrone); poche zone, lilla, sono destinate alle palazzine mentre solo la zona verde verso il lungotevere è destinata a villini, molti dei quali erano quelli già costruiti per l’esposizione. Vediamo che la parte ottocentesca dei Prati di Castello è senza retini, considerata come il centro storico, città consolidata, con solo piccolissimi interventi di “aggiustamento”, peraltro mai effettuati.

Altro particolare curioso si può notare alla fine di viale Mazzini: piazzale Clodio è già conformato come lo vediamo ora, ma sulle pendici di Monte Mario è previsto un quartiere a villini, mai realizzato,  e una strada a mezza costa (il proseguimento di via Gomenizza) che doveva confluire su via Trionfale.

Per le Olimpiadi del 1960, quando fu realizzata la via Olimpica per mettere in rapida connessione i due poli della manifestazione (Eur e Foro Italico), le circonvallazioni  Clodia e Trionfale furono inglobate in questa viabilità e contestualmente fu realizzata la via “panoramica” da piazzale Clodio a Monte Mario. Purtroppo non si colse l’occasione per dare un  assetto urbano alle pendici del monte che ancora si presenta come una zona estremamente disordinata. Al disordine ha inoltre contribuito la costruzione della nuova Città Giudiziaria, realizzata nei primi anni Sessanta da un  gruppo di progettisti guidati dall’architetto Perugini, di cui non ho mai capito la logica di inserimento a 45 gradi rispetto al tessuto viario circostante.

Il quartiere “Delle Vittorie” si è definitivamente saturato nel dopoguerra, dove il fervore edilizio della ricostruzione ha riempito gli ultimi “buchi” rimasti nel tessuto urbano, con palazzi molto alti (tra i 7 e i 10 piani), come prescrivevano le norme per la destinazione ad intensivi.

Già negli anni Cinquanta, il Comune  cominciò a porsi il problema di dotarsi di un nuovo piano regolatore, che ebbe una gestazione faticosa, e un iter di approvazioni e modifiche altrettanto lungo che occupò buona parte degli anni Sessanta. Questo piano, in vigore fino all’approvazione del più recente nel 2008, prevedeva per  il nostro quartiere una destinazione B1 assegnata alle zone consolidate di pregio fuori dal centro storico. Purtroppo questa destinazione prevedeva la possibilità di demolizione e ricostruzione di edifici con la clausola di rispettare i volumi e le sagome dei palazzi demoliti.

Piano regolatore del 1962

Questa norma del piano, essendo i palazzi ottocenteschi e del primo Novecento costruiti con soffitti altissimi e spesse murature portanti, offriva ai palazzinari dell’epoca una grossa possibilità di speculazione, potendo realizzare a parità di cubatura un forte incremento dei metri quadrati utili.

Questo ha portato a una dissennata sostituzione nei quartieri intorno al centro della città di vecchi palazzi residenziali con nuove costruzioni, per lo più con destinazione ad uffici, che spesso mal si armonizzano col tessuto consolidato circostante.

Devo dire che il nostro quartiere non è stato molto interessato da questo fenomeno, a differenza di altri più appetibili all’epoca, come il Pinciano – Parioli, che in alcuni punti è stato completamente snaturato.

Anche in Prati comunque si sono verificati dei casi di sostituzione e ricostruzione di palazzi residenziali: nel vecchio Prati, solo per citarne alcuni,  l’edificio d’angolo tra via Lucrezio Caro e via Cesi e due grossi alberghi, il Leonardo da Vinci, tra via dei Gracchi e via Farnese, edificato dove sorgevano dei villini d’epoca (simili a quelli rimasti nelle strade circostanti) e l’hotel Cicerone nella via omonima.

Anche nel quartiere Delle Vittorie si sono avuti casi di questo genere. Il più vistoso, a mio avviso, perché ha per oggetto un’opera d’autore citata in parecchi libri sull’architettura degli anni Venti in Italia, è stata la demolizione della palazzina della cooperativa “Nuova Prati” (1924), dell’architetto Enrico Del Debbio, tra via Angelo Brofferio e via Carlo Poma, al suo posto è stato ricostruito nel 1970 un palazzetto per uffici realizzato dall’architetto Alvaro Ciaramaglia, a lungo sede distaccata della Circoscrizione e recentemente ristrutturato con vetri colorati dalla nuova proprietà.

Le palazzine di Del Debbio e Ciaramaglia in via Brofferio, angolo via Poma

Un altro tentativo di sostituzione edilizia, in parte sventato, è stato quello operato nei lotti di proprietà dell’Istituto Autonomo Case Popolari tra viale Angelico, via Monte Santo e piazza Bainsizza,  che tutti conosciamo oggi come i giardini di via Plava. In questi lotti, nel piano del ’31, era prevista un’edilizia intensiva in sostituzione delle palazzine esistenti. Nel particolare della pianta dell’IGM del 1924 potete notare che in quella data era già stato costruito l’imponente edificio di Innocenzo Sabbatini, sempre dell’IACP, tra via Monte Santo, via Vodice, via Oslavia e via Paulucci de’ Calboli; nei due lotti di fronte su via Monte Santo (1), e in quello tra via Oslavia, via Monte Santo e piazza Bainsizza, potete vedere delle palazzine a più bassa densità, sempre progettate dal Sabbatini, che furono demolite negli anni Sessanta dall’Istituto, che contava di effettuare una notevole speculazione rivendendo il  terreno, per  comprare appezzamenti in periferia dove costruire nuove abitazioni popolari. L’operazione andò in porto solamente per il lotto di piazza Bainsizza che, come potete vedere dalla foto è stato sostituito con case ad alta densità a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta.

Pianta IGM del 1924 dell’area di via Plava a confronto con la situazione attuale
Prospetto di una delle deliziose casette in stile Liberty demolite a via Plava

Il caso di via Plava invece è stato uno dei primi a Roma in cui gli abitanti hanno cercato di opporsi alla cementificazione nei quartieri consolidati della città. L’operazione fu portata per le lunghe fino alla variante del piano regolatore del 1974 che, togliendo il beneficio della parità di cubatura, abolì quella norma che dava la possibilità di ricostruire nelle zone B1 e B2, di fatto parificate alla zona A del Centro Storico.

Negli anni seguenti, con l’avvento della giunta progressista del sindaco Argan, gli spazi di via Plava, ormai definitivamente destinati ad uso pubblico, diventarono un punto di riferimento nel quartiere, ospitando diverse iniziative delle famose Estati Romane dell’assessore alla cultura Renato Nicolini.  Ricordo benissimo le piacevoli serate passate in quegli spazi, con istallazioni effimere, come il Teatrino Scientifico realizzato nel 1979 dagli architetti Franco Purini e Laura Thermes, che ringrazio per le belle foto, ricostruito alcuni anni  fa al MAXXI in ricordo di quella bella stagione culturale della nostra città.

Teatro Scientifico

I lotti di via Plava, ceduti al Comune dall’IACP sono ora, come tutti sanno, a destinazione pubblica; l’affrettata costruzione del Centro Anziani, un brutto prefabbricato realizzato sul rilevato della strada che spezza in due il parco, ha impedito una più consona distribuzione a un’unica quota delle destinazioni previste: la zona dedicata  ai cani e il parco giochi per i bambini recentemente ben ristrutturato a cura di un comitato di genitori.

Chi volesse saperne di più sulle vicissitudini di quest’area può trovare informazioni e una cronistoria degli avvenimenti in uno stralcio dal libro “L’ex-deposito ATAC Vittoria: Progettazione partecipata a Roma”, di Alessandro Giangrande, Romina Peritore, Elena Mortola, Roma 2016, reperibile a questo link.

Il libro parla diffusamente di un’altra grande battaglia popolare condotta da un apposito comitato, per evitare la cementificazione degli spazi dell’ex deposito dei tram di piazza Bainsizza, che da anni l’ATAC vorrebbe realizzare per monetizzare (per ovvi motivi). Il comitato vorrebbe invece, per il bene del quartiere, recuperare l’area per supplire alle carenze di spazi verdi e di servizi. Nella foto (9) potete vedere come i fabbricati, pericolanti e tenuti nell’abbandono, siano stati già oggetto di demolizioni di parte delle coperture, in attesa di crolli già annunciati.

Siamo arrivati ai giorni nostri. Come vi dicevo, nel 2008 è stato varato un nuovo piano regolatore che conosco poco. Purtroppo, col passar degli anni, dedico sempre più tempo a studiare le cose vecchie che quelle contemporanee. Posso solo dirvi, come impressione superficiale, ma pur sempre di un addetto ai lavori, che mi convince molto poco. Ho l’impressione che la città sia stata svenduta ai costruttori. Un tempo nei Piani si attribuivano delle destinazioni incontrovertibili, esisteva la certezza di quello che si poteva fare o non fare. Non sembra che l’urbanistica contemporanea abbia recepito questa necessità del cittadino, e che tutto sia riconducibile a una trattativa tra chi costruisce e chi autorizza. Sono di una generazione che credeva alla certezza del diritto, sempre più disatteso da norme confuse che necessitano di interpretazioni da parte di esperti.

L’edilizia popolare pubblica, in barba alle battaglie per la casa condotte negli anni Settanta – Ottanta, volte a realizzare standard e tipologie sempre migliori per l’edilizia popolare, sembra che siano state dimenticate e che ormai le case pubbliche vengano progettate e realizzate da costruttori non sempre all’altezza, con scarsi controlli e con contrattazioni non sempre favorevoli a un buon uso del territorio.

Anche le norme salva scempi nei quartieri consolidati, istituite dalla variante del 1974, sono state abolite; chi segue la cronaca sa di più di un caso, non nel nostro quartiere (per ora), di sostituzione e ricostruzione di edifici d’epoca, nel cuore delle zone di pregio. Purtroppo anche la battaglia per la tutela delle zone di Roma stabilizzate nel corso del Novecento è stata una battaglia persa.

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