Serpentara | La Storia

A un anno dal lockdown: così a Serpentara sono cambiate le vite di una comunità di minori

Antonio Tiso

Per tutti noi c’è un prima e un dopo lockdown. Il 10 marzo 2020 segna una data spartiacque nella vita di ognuno e questo vale, fortemente, per i minori dell’Approdo, la comunità residenziale alla Serpentara, gestita della cooperativa sociale Spes Contra Spem.

Un anno fa la vita di cinque ragazzi, che già in passato avevano subito privazioni educative e sociali, veniva ulteriormente sconvolta. “All’epoca l’Approdo ospitava cinque giovani sotto i 18 anni, due egiziani e tre albanesi. Fortunatamente abbiamo potuto adattare l’appartamento in modo da rendere le loro camere singole”, spiega l’educatrice Valentina Arduini.

I ragazzi de L’Approdo in un momento di spensieratezza, mesi prima del lockdown

Quando si iniziò a parlare di Covid i ragazzi erano abbastanza impauriti e dubbiosi. In più seguivano la diffusione del virus nei loro paesi d’origine. Tutto improvvisamente si fermò la sera del 9 marzo, con il discorso del Presidente Conte in diretta. Ricordo i ragazzi e gli educatori di turno seduti ad ascoltare per capire cosa stava accadendo – racconta Valentina – . Inizialmente i nostri ospiti furono quasi contenti per la chiusura delle scuole. Finalmente un po’ di riposo, si dissero. Ma poi si capì che lo sforzo sarebbe stato maggiore. Quello che si chiedeva era non uscire, non vedere gli amici, interrompere lo sport, le attività extra scolastiche, e soprattutto non avere contatti con noi, non più un abbraccio, una pacca sulla spalla, tenere sempre le mascherine al volto. Vivere solo ed esclusivamente la casa. Non potevamo più accogliere gli ex ragazzi che abitualmente ci venivano a trovare né i volontari. A tavola si mangiava distanti o a turno”.

I ragazzi de L’Approdo durante un barbecue prima del lockdown

Uno stravolgimento delle abitudini che riguardò anche il gruppo degli educatori: “Il nostro lavoro si è completamente modificato – risponde Valentina – . All’improvviso non potevamo più condividere il turno insieme, spesso ci ritrovavamo a fare ore e ore in più, bastava un sospetto contagio a far saltare i turni. Per non parlare della paura di portare il virus in casa”.

Un altro problema per una struttura residenziale per adolescenti vulnerabili è stata poi l’inquietudine, già alta di suo: “Che fare in casa? Che inventarci con degli minori abituati a uscire e a non stare mai fermi? Nel tempo ci siamo inventati questionari da proporre ai ragazzi  – continua l’educatrice – per cercare di capire quali laboratori potessero interessargli per passare il tempo, e sono uscite fuori tante idee, dalla fotografia, allo studio per la patente, allo spagnolo, al cucinare, all ‘inventiamoci una palestra in casa’, al prendere spunto per ridipingere le stanze o sistemare i vecchi armadi?”

Infine uno sguardo al presente, non privo di nuove difficoltà e sfide: “La situazione attuale è sicuramente più sciolta rispetto a un anno fa, ma come struttura residenziale che si occupa di disagio minorile e che con i ragazzi progetta un’autonomia, il Covid ha cambiato le carte in tavola – ammette – . La scuola anche ora è di difficile accesso, le liste di attesa sono lunghe e per dei ragazzi che devono imparare l’italiano non è semplice aspettare, i 18 anni sono vicini. I corsi di formazione hanno ridotto il numero di iscrizione, la ricerca di un lavoro è sempre più complessa”, conclude.


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