23 Novembre 2020 - 12:40 . Montesacro . Cronaca

La storia di Matteo: asintomatico, si fa ricoverare con lo zio con sindrome di Down

Matteo Merolla e suo zio
Matteo Merolla e suo zio

“Non volevo lasciarlo da solo”. Matteo Merolla, 29enne di Montesacro, positivo al Covid ma asintomatico, ha scelto di farsi ricoverare al Celio insieme allo zio 50enne, affetto da sindrome di Down, che era arrivato in condizioni molto serie al Policlinico militare per un’infezione al virus.

A raccontare la vicenda è lo stesso Matteo, agente immobiliare, nato e cresciuto nel nostro quartiere: “Mio zio, Paolo, è stato ricoverato d’urgenza al Celio ed è stato subito sottoposto a due Tac. Gli è stata riscontrata una grave polmonite, aveva febbre, tosse forte, giramenti di testa costanti, debolezza e malessere generale. La prima notte è stato molto male, continuava a svenire e ad addormentarsi, non gli arrivava abbastanza ossigeno e lui ha pianto tutto il tempo perché non capiva quello che gli stava succedendo. Era molto spaventato. Quando era molto piccolo gli è stata asportata una grossa porzione di un polmone, per cui è stato aggredito dal Covid in maniera seria. È affetto da sindrome di Down e non è autosufficiente, c’era bisogno che qualcuno si prendesse cura di lui. Ho pensato subito che farmi ricoverare con lui fosse un dovere”.

La direzione del Celio ha dunque permesso in via eccezionale il ricovero di zio e nipote. “Avevo sintomi blandi, prima di entrare in ospedale mi hanno fatto il tampone ed ero positivo – racconta ancora Matteo – così ci hanno ricoverato insieme e abbiamo avuto anche la possibilità di avere una stanza in comune. Mio zio ha avuto bisogno di una maschera per l’ossigeno 24 ore su 24, giorno e notte, e i medici hanno fatto davvero tutto il possibile per non intubarlo vista la sua condizione“.

E ancora: “Ho provato in qualche modo a spiegargli che adesso c’è questo virus e che lui si trovava in ospedale perché aveva bisogno di cure – continua Matteo – ma lui spesso ripeteva, piangendo, che voleva tornare a casa. Quando i medici e gli infermieri entravano in stanza per fargli un prelievo, per dargli una medicina o anche semplicemente per aggiornarmi sulle sue condizioni, lui costantemente mi diceva: non ho capito niente. È come essere ricoverati in ospedale in un Paese straniero, dove conosci a stento la lingua”.

Zio e nipote sono stati al Celio dal 3 al 18 novembre, oggi sono entrambi negativi al Covid-19 e hanno fatto rientro a casa. “Mio zio è stato molto felice di ritornare a casa, è uscito dall’ospedale esclamando, come se fosse un grido di vittoria: ‘E bye!’. Ma soprattutto con la richiesta molto netta di avere dei supplì per cena, così mia madre ed io siamo andati subito a comprarli perché ogni promessa è un debito”.

Matteo ricorda poi un episodio divertente: “Verso il decimo o undicesimo giorno in cui eravamo ricoverati è venuto in stanza da noi uno degli infermieri e mio zio gli ha detto: devo dirti una cosa, c’ho pensato bene, ho deciso che qui non ci torno più. Allora io ho esclamato: bene, puoi fare una recensione negativa su TripAdvisor!“.

Matteo, che dalla sua stanza nel reparto Covid del Policlinico militare ha continuato comunque a lavorare – e “a fare anche una vendita”, ha detto orgoglioso – infine a ringrazia il personale medico del Celio: “Sono stati tutti molto carini, hanno portato mio zio in palmo di mano e per questo li ringraziamo. Era diventato la mascotte dell’ospedale. Medici, infermieri e persino il personale addetto alle pulizie gli portavano cioccolata e caramelle. Quando finalmente è uscito dall’ospedale sono venuti a salutarlo e gli hanno detto, ovviamente in maniera affettuosa: a Paole’, non tornare più qui, eh, mi raccomando”.