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La campagna elettorale vincente per lo stratega Paolo Nocchi

di Giulia Argenti

Il candidato sindaco ideale per Roma? Deve essere credibile. Dal 1994 in poi i partiti hanno subito una mutazione, trasformandosi in brand e perdendo gradualmente la propria credibilità. Da qui la scelta di diventare dei partiti-persona, che puntano tutto, appunto sul  nome e il personaggio del candidato e cercano di annientarsi l’un l’altro con un linguaggio sempre più aggressivo. Cosa otteniamo? Che gli elettori si schierano come tifosi, confondendo il fine con il mezzo: perché l’obiettivo dovrebbe essere quello di avere un Paese o, nel caso di elezioni amministrative, città che funzionino e non la vittoria della propria parte politica”. Gli aspiranti sindaci della Capitale farebbero bene a prendere appunti, perché a dirlo è uno stratega della comunicazione: Paolo Nocchi, toscano d’origine, ma romano d’adozione. Nocchi è direttore creativo, creative strategist e copywriter per progetti cross mediali con un’esperienza di quasi 20 anni nell’ambito della comunicazione.

Nella sua carriera ha gestito gruppi creativi, per clienti nazionali e internazionali, elaborando strategie di comunicazione integrata e creando campagne pubblicitarie di successo. Collabora, da freelance, con diverse aziende, tra cui Tiscali, Abbott, Johnson & Johnson, Enel, MedTronic e Chervò.

Insomma, uno che la comunicazione, a tutti i livelli, la sa maneggiare bene. E che, sulle prossime elezioni per la scelta del sindaco di Roma, che si terranno a ottobre, ha le idee molto chiare: “Sarà una delle campagne elettorali più amorfe degli ultimi tempi, tutti dicono le stesse cose, si attaccano l’un altro invece di proporre soluzioni credibili ai problemi”.

Cosa stanno sbagliando i candidati sindaco?

Partiamo da un presupposto importante: tutti i partiti, attualmente, hanno un problema di credibilità. Per anni si è puntato e si continua ancora oggi a puntare sulla stanchezza e sulla memoria corta degli elettori. I cittadini in gran parte sono disaffezionati alla politica, si fidano poco dei partiti e questi, per tutta risposta, cercano di guadagnare credibilità spingendo sul nome del candidato, che diventa quasi un prodotto aziendale, da promuovere con tecniche di marketing. Il problema però è che tutti i partiti usano la stessa strategia, e si finisce per avere candidati uguali, che approcciano allo stesso modo ai medesimi temi. Manca il rapporto diretto con i territori, con le persone. Perché Raggi ha vinto nel 2016?”

Perché?

Perché era un nome e un volto nuovo. Un elemento di novità in un panorama piuttosto omogeneo. In più arrivava da una forza politica che faceva, o prometteva di fare, del rapporto diretto con gli elettori il suo mantra. Ora la situazione è diversa: Roberto Gualtieri, Carlo Calenda, Enrico Michetti, sono tutti nomi che hanno una loro forza, ma manca lelemento di novità. Raggi ha scelto di ricandidarsi, ma a livello di comunicazione, in questi cinque anni ha sbagliato strategia e quellelemento di novità che poteva darle forza nel 2016 è ormai totalmente bruciato”.

Cosa è mancato alla strategia di comunicazione della sindaca uscente?

A livello comunicativo Raggi ha una grande, quasi imperdonabile, colpa. Non si è difesa dagli attacchi. Peggio, ha lasciato che i suoi assessori, consiglieri, colleghi di partito, le costruissero una specie di cortina intorno e che fossero loro a prendere le sue parti e rispondere alle accuse dei media e dei partiti dopposizione. Lei ha dimostrato, in diversi dibattiti a cui ha partecipato, di sapersi difendere anche bene, eppure ha scelto di non farlo. Sarebbe dovuta scendere in strada, incontrare i romani e difendersi colpo su colpo dalle accuse, spiegando prima di tutto ai cittadini la sua versione.  Tutto questo, invece, è mancato. Ed è un errore molto grave, soprattutto per unamministratrice che arrivava da un partito che, torno a ripetere, prometteva di porre alla base del proprio lavoro il rapporto diretto con i cittadini”.

Torniamo alla campagna elettorale, quali sono i tre errori che un candidato non dovrebbe commettere mai?

Punto primo: non fare promesse che non può mantenere. Perché dopo la campagna elettorale chi vince poi deve governare ed è sbagliato puntare sulla memoria corta degli elettori. Bisogna fare promesse che poi si è in grado di rispettare e, soprattutto, vanno dati tempi certi. Esempio: non dire risolverò il problema dei rifiuti, ma risolverò il problema dei rifiuti in tre anni.  Altro errore da evitare: puntare tutto sul cercare di demolire gli avversari, attaccandoli continuamente. La campagna elettorale sta già assumendo le sembianze di una guerra di marketing in cui i brand spingono il proprio prodotto cercando di dimostrare linadeguatezza degli altri. Ma in politica non funziona così, lopposizione è fondamentale. E a questo concetto si ricollega il terzo errore imperdonabile, che però riguarda più la fase dopo la campagna elettorale”.

Qual è?

Non voler cercare la sponda degli avversari dopo aver vinto le elezioni. Un sindaco, per essere credibile, deve mantenere le promesse. E per farlo deve avere il più ampio sostegno possibile. Il dialogo con tutti i partiti è fondamentale”.

Qual è il messaggio che il cittadino medio romano vorrebbe sentire?

Una soluzione concreta a problemi che attanagliano da tempo la città: viabilità, spazzatura e mancanza di progetti di edilizia popolare. Ma, torno a sottolinearlo, il punto non è solo il messaggio, ma come viene impostato. I candidati puntano tutti a demolire la proposta degli altri, invece che a farne di proprie e gli elettori finiscono per essere così ancora più stanchi e sfiduciati da questi continui battibecchi. Ma c’è, al di sopra di tutto questo, un altro tema più importante con cui i candidati dovrebbero confrontarsi”.

Spieghi qual è

Il candidato ideale dovrebbe studiare la storia di Roma e dei quartieri. Analizzare e capire quali sono i fili rossi, le connessioni che legano i tantissimi territori che compongono la Capitale e puntare su quelli. E poi, il passo successivo sarebbe insegnare ai romani ad amare la propria città in senso concreto, ovvero avendone rispetto, e costruire con loro un processo che sia davvero partecipativo per governare Roma. Ma questo si può fare soltanto andando nei territori e continuando a parlare con le persone anche dopo la fine della campagna elettorale”.

Le restrizioni legate alla pandemia limitano gli incontri dal vivo. Che impatto ha sulla campagna elettorale la riduzione dei confronti diretti con i cittadini e come è possibile recuperare questa perdita?

Il Covid ha rivoluzionato le nostre vite: da un parte ci ha privato del contatto diretto, fisico, e quindi della possibilità di esprimerci anche con il linguaggio del corpo. Un elemento che è fondamentale anche in campagna elettorale. Dallaltra, però, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione è possibile raggiungere facilmente una platea molto più ampia e lontana. Il punto è un altro e torniamo, ancora una volta, alla capacità attrattiva e allaffidabilità di un candidato. Se è convincente e credibile lo si ascolta ovunque, che sia in piazza o su una piattaforma digitale. Se non lo è, non ci si scomoda nemmeno ad accendere il pc”.

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