FuoriQuartiere | Articoli

Tutto su Tpi, la testata che ha svelato gli errori lombardi sul Covid-19

di Daniele Galli

C’è una palazzina speciale su corso d’Italia, tra via Tevere e via Aniene. È uno dei polmoni dell’informazione del nostro Paese. Qui hanno sede due importanti agenzie di stampa, la Reuters e la Dire. E da qualche anno l’edificio ospita anche la redazione di Tpi, acronimo di The Post Internazionale, testata diretta da Giulio Gambino, romano (“abito all’Aventino, ho studiato in un liceo del centro”), 33 anni di cui dieci trascorsi alla guida del sito. Nato con un capitale di poco superiore ai centomila euro, oggi The Post Internazionale è una realtà consolidata del panorama editoriale italiano: può contare su uno zoccolo duro di circa quindici milioni di utenti unici al mese e su un milione 146 mila follower su Facebook.

Direttore, dove nasce esattamente Tpi?
“In via dei Banchi Vecchi. Poi ci siamo trasferiti in via della Croce. E adesso a via Aniene”.

Dal centro al Trieste-Salario. Perché avete scelto questo quartiere?
“Abbiamo trovato questa bellissima soluzione a due passi da piazza Fiume. Ci siamo noi, la Reuters e la Dire. È un palazzetto dell’informazione. Andiamo tutti i giorni a pranzo da Pro Loco Pinciano o da I Molisani, in via Bergamo. Ovviamente, non in questo periodo. I nostri undici dipendenti e dieci collaboratori stanno lavorando da casa”.

Qual è il segreto del successo di Tpi?
“Sono tre. Primo, un’informazione diretta, essenziale, senza fronzoli, rivolta prevalentemente ai giovani. Secondo, la nostra indipendenza: nessuno può imporci di non pubblicare un’inchiesta. Terzo, la capacità di essere sostenibili”.

Giulio Gambino, 33 anni, 33 anni, di cui dieci trascorsi alla guida del sito Tpi

Sostenibili?
“In un settore fortemente in crisi come il nostro, sei subissato da spese abnormi. Tra queste c’è soprattutto il costo del lavoro. Noi siamo nati dal nulla e riusciamo a mantenerci da soli”.

Avete mai pensato a una versione cartacea?
“Sì, tante volte. Sarebbe stato un sogno. Abbiamo però convenuto che non fosse necessaria. Noi sappiamo fare una cosa, ed è il giornalismo online. Certo, un’edizione cartacea ci porterebbe altro pubblico e non ci farebbe dipendere unicamente dalla pubblicità. Tra l’altro, un noto direttore qualche tempo fa diceva che i giornali tradizionali avevano ancora due anni di vita, prima del Coronavirus. Mentre adesso, secondo lui, hanno solo due mesi”.

Cosa dovrebbe fare la carta stampata? 
“Dovrebbe mettersi davanti a uno specchio e ammettere che, stando così le cose, la situazione è insostenibile. Non ha senso inseguire una notizia uscita online ventiquattrore prima. I giornali dovrebbero passare da settanta pagine a dieci di eccellente qualità. Analisi, inchieste, approfondimenti. Io non vedrei l’ora di correre in edicola a comprarli”.

Coronavirus e fake news. Anche delle testate autorevoli sono incappate in qualche bufala.
“Dobbiamo fare di tutto per limitarle, senza però fossilizzarci sul tema. Non devono diventare un mantra. Altrimenti, il giornalismo diventa una caccia alle streghe delle fake news e i debunker danno a queste bufale più visibilità di quanta queste ne avrebbero avuta. Il nostro compito è quello di informare, di denunciare, di offrire un servizio utile alla collettività. E poi la gente non è cretina. Si rende conto da sola quando una notizia è falsa”.

Ha destato scalpore l’intervista su Tpi di Telese a Giulio Tarro. Per il virologo, il plasma dei guariti può curare i malati di Covid-19. C’è una testimonianza molto importante che avvalora il successo di questa terapia. È stata pubblicata da DonatoriH24.
“La nostra intervista a Tarro è stata molto criticata. Secondo qualcuno, abbiamo fatto parlare un pazzo che nega quello che dice Burioni. Io non la penso così, sennò non avremmo ospitato quell’articolo”.

Recentemente avete pubblicato anche un’inchiesta sugli errori commessi al “Pesenti Fenaroli”, l’ospedale di Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo.
“Grazie allo splendido lavoro di Francesca Nava, ora sappiamo che il 23 febbraio, allo scoppio dei primi casi di Covid-19, avrebbero dovuto chiudere l’ospedale. Se lo avessero fatto, oggi parleremmo di un esempio virtuoso. Come a Codogno o a Schiavonia, in Veneto, dove governa sempre il centrodestra e dove le cose, invece, hanno funzionato bene. Lo dico per rispondere a chi sostiene che le critiche alla Regione Lombardia siano pretestuose, siano politiche. Anche perché c’è di più”.

Ossia?
“Oggi sappiamo che il direttore di quell’ospedale aveva chiesto di chiudere. Ordini dall’alto glielo hanno impedito. La giunta della Lombardia dovrebbe spiegarci perché. Abbiamo anche pubblicato una nota riservata, datata 2 marzo, con cui l’Istitutore superiore di sanità chiedeva alla Regione di rendere Alzano e Nembro zona rossa. Metà delle morti in Italia da Covid-19 sono state registrate in Lombardia. E il lockdown in tutto il Paese è stato in gran parte causato dal focolaio lombardo. Ci sono delle responsabilità evidenti”.

Giulio Gambino durante una intervista a Romano Prodi

La Regione Lombardia dovrebbe essere commissariata?
“No, e sicuramente non in questo momento. Io l’avevo detto qualche giorno fa ad Omnibus, su La7, poi però ho fatto marcia indietro. Sarebbe una vittoria politica e non giudiziaria su una giunta di centrodestra. Nessuno ce l’ha con la Lombardia perché siamo cattivi o invidiosi, ma perché c’è stata una mala gestione”.

Questa è una risposta a Vittorio Feltri e alla sua infelice uscita sull’inferiorità dei meridionali.
“Ha stancato. Mi domando: abbiamo bisogno di Feltri per trattare questi argomenti? Lo ha scritto Telese, Feltri fa così per giustificare i fallimenti della Lombardia. Ma non ha senso parlare in questo modo del Sud”.

Qual è il suo giudizio sullo scontro a distanza tra Mentana e il presidente Conte?
“Mentana ha fatto bene, la citazione di Meloni e Salvini da parte del premier è stata inopportuna. A parti inverse, ossia se Salvini avesse parlato male di Conte o dei Cinquestelle in conferenza stampa, sarebbe venuto giù il mondo. È un’ipocrisia all’italiana”.

Però non si trattava di un discorso a reti unificate, come sosteneva Mentana.
“Sono d’accordo, la giustificazione di Conte è corretta. In questo momento, però, ogni comunicazione del presidente del Consiglio viene presa per oro colato. Ecco perché quello che ha detto Mentana è stato saggio, nel merito. Poi, ok, non era necessario che si ergesse a paladino della giustizia, ricordandoci cosa è giusto e cosa è sbagliato dire. Su questo ha ragione Travaglio: se vuoi, la conferenza la mandi; se non vuoi, non la mandi”.


Sostieni RomaH24 Sostieni RomaH24
grazie