Flaminio | La storia

Quando l’alluvione di Roma inondò anche il Flaminio

di Sergio Campofiorito

È difficile immaginare il Flaminio di fine ‘800. Soprattutto quando, a poco più di due mesi dalla breccia di Porta Pia (20 settembre 1870), con Roma sottratta al papato, qualcosa di simile all’ira divina devasta il territorio. Per la città e il suo rapporto con il Tevere, c’è un prima e un dopo il 28 dicembre 1870, quando una violenta inondazione trasforma il quartiere in un fiume in piena.

Nei giorni precedenti, la pioggia è caduta incessantemente, gonfiando le acque del fiume che poi si sono riversate in tutta la città. L’acqua scorre impetuosa seguendo le vie principali: piazza del Popolovia Flaminia e le strade limitrofe, Ponte Regina Margherita, Ponte Milvio.

L’acqua sommerge ogni cosa, arrivando a tre metri di altezza, mentre la piena trasporta gli alberi strappati alla terra. La sera, chiuso il gas, calano le tenebre su una città agonizzante.

Assopite le acque, si riunisce una commissione speciale col compito di decidere che tipo di intervento porre in atto. I progetti più promettenti sono tre, l’ultimo è quello sul quale ancora oggi si cammina: i muraglioni del Tevere, ideati dall’ingegner Raffaele Canevari. Sarà la loro costruzione a rappresentare una condizione fondamentale per la nascita del quartiere come oggi lo conosciamo. Messa in sicurezza l’area, arriveranno a breve i piani di urbanizzazione. Ma questa è un’altra storia.

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