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Il virus e il fantasma della movida: il male sta nei comportamenti abusivi

di Francesca Piro

“Uno spettro s’aggira per il quartiere. È il fantasma della movida. L’avevamo messa da parte, relegata negli angoli più nascosti della quarantena, con un po’ di imbarazzo al pensiero di quei comportamenti così promiscui fatti di chiacchiere cuore a cuore, risate e abbracci, con i bicchieri che passavano da una mano all’altra “fammi assaggiare quello che hai preso tu”, in locali affollati, con la musica a tutto volume, tra quelle atmosfere un po’ umide di fumo e di odore di cibo. La movida? E chi se la ricordava più!

E invece lo scorso fine settimana eccoli tutti fuori “i ragazzi della movida”, a riempire le piazzette di quartiere, i marciapiedi del centro di Roma – ancora vuoto delle comitive di turisti – i tavolini davanti ai bar e alle enoteche che se la sono sentita di riaprire. Le mascherine necessariamente abbassate per bere, ma neanche rialzate sul naso una volta vuotato il bicchiere, perché sorridere è così bello e queste facce mozzate a metà dal filtro della mascherina non piacciono a nessuno”.

La movida nasce agli inizi degli anni ’80 in Spagna. Dopo la morte di Franco e il ritorno della democrazia, nel corso di qualche anno a Madrid si crea un movimento sociale e artistico che coinvolge rapidamente la popolazione giovanile e gli artisti dell’avanguardia. Nascono la rivista La Luna, i collettivi di cinema e teatro e i locali che servono cibi e bevande restano aperti fino a tarda notte. Le strade e le piazze si riempiono di giovani e di adulti pronti a vivere “la vida loca” fino all’alba, finalmente liberi dai limiti imposti dalla dittatura. Questa era la movida madrilena.

Oggi il termine è usato in maniera inappropriata per raccontare la vita notturna di una città o di una località turistica e indica soltanto quella gran confusione che si genera intorno ai locali più alla moda in giro per i quartieri. Ci sono luoghi di Roma dove la movida è padrona di strade e marciapiedi dall’ora dell’aperitivo fino alle 3 di notte e questo certamente non è gradevole per chi su quelle strade ha l’affaccio delle finestre o è costretto a parcheggiare l’auto due rioni più in là perché ormai sotto casa non trova più posto.

Piazza Caprera

E allora quest’alzata di scudi contro gli assembramenti dovuti alla ripresa delle attività dei caffè e dei ristoranti è realmente legata alla preoccupazione di una recrudescenza dell’epidemia? O è semplicemente dovuta al fastidio di riavere di nuovo la folla clamorosa sotto le finestre? Vero è che con le serate fino a tarda notte nelle strade sono tornate le bottiglie abbandonate a terra, i tovagliolini di carta appallottolati, le chiazze di pipì contro i muri, se non peggio. Ma questo da cosa dipende? È la movida o la mancanza di senso civico?

Dovremo aspettare due settimane – ovvero il tempo di un’incubazione virale – per capire se la folla di persone che abbiamo visto, in questo ultimo fine settimana, punteggiare alcune piazze e parchi del nostro quartiere e delle città di tutta Italia, sarà stata causa o meno di una riattivazione dell’epidemia, ma nel frattempo chiediamoci se queste persone che sono uscite di nuovo a riprendersi le strade non abbiano solamente espresso un bisogno del tutto umano di condividere il piacere della vita. Chiediamoci se questo bisogno non sia anche un po’ nostro, perché proprio non ce la facciamo a mollare, a non avere l’angustia e la preoccupazione. Chiediamoci se il buio terribile di certe sere di marzo e aprile non vada in qualche modo esorcizzato da una risata, da un bicchiere bevuto con il cuore più leggero, da una mascherina abbassata a svelare la faccia rotonda dell’amico del cuore.

Cautela, igiene, distanziamento fisico, mascherina, evitare i luoghi al chiuso se molto affollati, ma anche senso civico e rispetto. Rispetto per 32.000 morti. Rispetto per noi, per la nostra salute. Rispetto per la nostra città. La movida non è il male assoluto. Basterebbe raccomandare prudenza e attenzione. Usciamo da 78 giorni di quarantena e siamo stati bravissimi, ma è stata dura, per molti è stata troppo dura. E non parlo soltanto delle attività produttive. Parlo dei sentimenti delle persone, dell’igiene mentale, della capacità di resistere. Il male non è la movida. Il male sta nel menefreghismo, nella tracotanza, nell’esasperazione. Il male sta nella sporcizia che viene lasciata in giro. Il male sta nel nostro comportamento abusivo. Il male sta nel parcheggio selvaggio, nelle urla e negli schiamazzi, nelle chiazze di vomito vicino ai cassonetti, nella spazzatura abbandonata nelle strade. Penso – ed è un pensiero forse ancora troppo difficile da accettare, almeno per me che ho passato due mesi a dire alle persone “state a casa” – che sia giunto il momento di rivolgere la nostra attenzione alla comunità nel suo insieme, per trovare una nuova forma di socialità, senza invocare ancora divieti, obblighi e costrizioni. Sarebbe bello.


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