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Così funziona la rete di assistenza al campo nomadi in via Foce dell’Aniene

di Paolo Riggio

Ai piedi del nostro territorio, in una stradina sterrata a ridosso di via del Foro Italico, c’è una terra nascosta. Il nome paradisiaco – Villaggio Azzurro – cela un tessuto sociale emarginato. Qui, interi nuclei familiari di etnia rom sopravvivono oggi, ai tempi del Coronavirus, grazie a una rete di assistenza sconosciuta.

Gli angeli di questo spicchio di Roma Nord sono le donne e gli uomini del II Municipio, della Croce Rossa e del Nae. Nae. L’acronimo sta per Nucleo anti-emarginazione della polizia di Roma Capitale. Questi agenti indossano l’abito buono della solidarietà, oltre alle mascherine. Perché hanno un compito: consegnare i pacchi alimentari del Comune, grazie alla regia del II Municipio. Quello che segue è il racconto di una giornata di straordinaria ordinarietà.

Domenica 26 aprile. Sono le 9.32 quando, a San Lorenzo, una volante della polizia di Roma Capitale fa il suo ingresso nella sede di associazione Vita Attiva, seguita da una camionetta della Croce Rossa Italiana. Ci troviamo nel quartier generale della solidarietà del II Municipio. È qui che funzionari e volontari raccolgono pane, pasta, tonno e acqua. Dietro a queste operazioni del cuore c’è la direzione dell’assessora alle politiche sociali, Carla Fermariello: “Il II Municipio ha organizzato una rete coordinata che, grazie al supporto del volontariato e del terzo settore, sta raggiungendo la parte più fragile della popolazione”. Oggi il target è Villaggio Azzurro, via Foce dell’Aniene.

I volontari della Croce Rossa e del Nae

“Il pane c’è, il tonno anche, il pomodoro pure. Agenti, mi sembra che ci sia tutto”. Chi parla è Francesco Pastorello, presidente di Croce Rossa Italiana, comitato II e III Municipio. “Bene, possiamo partire. Aspettate, vi siete ricordati dei pannolini?”. La voce è quella di Marco Ferrazzani. È un vigile urbano. È un funzionario del Nae, il Nucleo anti-emarginazione della polizia del II gruppo, diretto dalla comandante Donatella Scafati. Ferrazzani conosce queste sacche di povertà come le sue tasche.

Assieme all’agente Alessandro Mingrone e ai volontari della Croce Rossa Italiana, oggi Ferrazzani ha il compito di consegnare venti pacchi di beni di prima necessità. E i pannolini sono beni di prima necessità. “Nel campo ci sono decine di bambini, è importante!”, ribadisce Ferrazzani con tono fermo. Silenzio. Pastorello controlla e guarda Ferrazzani: “Non ci sono. Dobbiamo prenderli”. “Non vi preoccupate, abbiamo tempo – li rassicura Ferrazzani -. Andateli a prendere nei vostri magazzini e ci vediamo all’ingresso del campo”. Il campo. Ossia, Villaggio Azzurro. È il momento di partire.

Quindici minuti. È il tempo impiegato dalla spedizione per arrivare a Villaggio Azzurro. La camionetta della Croce Rossa Italiana non c’è ancora e l’agente Ferrazzani inizia a raccontare la storia del campo nomadi: “Molti confondono il Villaggio Azzurro con l’insediamento di via del Foro Italico, ma nonostante siano vicine, si tratta di realtà molto diverse – spiega a RomaH24 –. Con le trentacinque persone insediate qui c’è un rapporto di amicizia. Conosciamo benissimo le difficoltà e le storie di queste persone ed è per questo che è più facile aiutarli. Diciamo che loro provano a integrarsi più di altri. Vorrei dirvi lo stesso per il grande campo rom di via del Foro Italico, ma purtroppo non è così. Credo che per risolvere il problema dei campi nomadi serva proprio questo: costruire rapporti umani con chi ci abita, soprattutto in questi giorni di emergenza”.

I volontari al campo nomadi

Intanto arriva la Croce Rossa. L’appuntamento è in via del Foro Italico, all’altezza di un distributore della Esso. Appena fuori dal campo. “Tutto a posto agenti, abbiamo preso pannolini e anche qualche uovo pasqua!”, esclama un volontario. In lontananza spuntano una decina di persone. Due uomini, tre donne e cinque bambini. Il più grande non ha neanche dieci anni.

“Ecco Ariel, è il nostro referente”, dice Ferrazzani. Ariel ha 40 anni, una figlia poco più che ventenne e viene dalla Romania. Mentre si avvicina ai volontari, cerca di placare gli entusiasmi dei ragazzini, perché per loro oggi è Natale. “Buongiorno signori, vi ringraziamo di cuore”. Ariel china la testa e sussurra: “Per caso, avete qualche pannolino? Per noi è la cosa più importante”.

Tutto intorno si respira un clima di festa. C’è un’atmosfera distesa. Si avverte la voglia di queste persone di integrarsi. Villaggio Azzurro è un campo speciale. Occorre fare, però, un po’ d’ordine: i bambini non riescono a stare fermi. “Aspettate, prima le mascherine!”, è il monito di Ferrazzani. I modi sono solo apparentemente burberi: l’agente scherza con i più piccoli. I volontari ne consegnano tante e spiegano come utilizzarle: “Legatevi i nastri alle orecchie. Mi raccomando, queste non vi fanno contrarre il virus”.

È il momento della consegna dei pacchi. Ci sono anche le uova di Pasqua. Le persone si mettono diligentemente in fila. Nessuno resta a mani vuote. Mingrone ci indica uno di loro. Si chiama Ricardo. Ha nove anni. “Vedete questo bambino? Va tutti i giorni a scuola e ha la media dell’otto in pagella. Questo dimostra che l’integrazione con i nostri quartieri è possibile”.

Le consegne sono quasi finite. Venti pacchi, ognuno dei quali potrà sfamare per settimane almeno quattro persone. C’è ancora tempo però per un fuori programma. Avanza a fatica un signore di mezza età. “Agenti, ho finito la benzina ma non ho una tanica, che faccio?”. I modi sono bruschi, ma Mingrone non perde la calma: “Finiamo qui e arriviamo da lei”. Ariel li ascolta e interviene. “Signore – dice rivolto all’agente -, ce l’ho io una tanica. Vado a prenderla”. Dopo qualche minuto, il quarantenne torna con la sospirata tanica.

Quando viene il momento dei saluti, tutti gli ospiti di Villaggio Azzurro raggiungono gli agenti e i volontari della Croce Rossa. L’ultimo ad andarsene è proprio Ariel. Non può dare loro la mano. Deve limitarsi a un sorriso: “Grazie come sempre. Grazie di tutto. E grazie, soprattutto, per i pannolini”.

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