8 Giugno 2020 - 11:05 . FuoriQuartiere . Cronaca

Gli scontri di sabato 8 giugno al Circo Massimo, l’analisi di Luigi Carletti

La manifestazione dell'8 giugno al Circo Massimo, da un servizio del TG1
La manifestazione dell'8 giugno al Circo Massimo, da un servizio del TG1

In merito agli scontri di sabato 6 giugno al Circo Massimo, questa è l’analisi del direttore di RomaH24, Luigi Carletti, sugli incidenti stessi e sullo scioglimento o meno dei gruppi neofascisti.

 

La manifestazione di sabato 6 giugno al Circo Massimo ha riproposto il tema dei gruppi neofascisti in Italia e della libertà di cui godono in barba alle leggi e alla Costituzione. Due anni fa il tema del loro scioglimento fu sollevato con una certa energia da alcune forze politiche e in particolare da politici di primo piano come Laura Boldrini e Pietro Grasso, cosa che portò l’ex presidente della Camera a essere presa di mira costantemente dalla destra italiana fino a farne un feticcio negativo su cui concentrare ogni forma di maledizione.

Sì, perché i neofascisti saranno pure brutti e cattivi, magari imbarazzanti e impresentabili, ma per la destra sono pur sempre un potenziale serbatoio di consensi. Forza Nuova e le varie frange collaterali si considerano cani sciolti, non assoggettabili alle logiche dei partiti esistenti, ma nel computo a fini elettoralistici sono persone provviste di scheda che possono andare a votare. E si sa che nell’urna ogni voto vale uno, non ha odore né sapore, tutt’al più un colore dove – in questo caso – il nero ha un certo predominio.

Sullo scioglimento dei gruppi neofascisti si sono espressi in tanti, inclusi gli organi dello Stato dai quali potremmo anche aspettarci una parola definitiva. Ci sono stati pronunciamenti della Corte Costituzionale e della Cassazione, ci sono state sentenze di giudici su episodi specifici, ma il legislatore (cioè il Parlamento) non ha mai preso di petto il problema. Questo perché ci sono sempre ben altre priorità (quanto ci piace il benaltrismo, così caro a una parte della sinistra…), o perché “se li sciogli li mandi nella clandestinità e di lì all’eversione nera è un attimo”, o anche perché “una cosa è la celebrazione nostalgica e un’altra è la concreta riorganizzazione del partito fascista”… Insomma, di motivazioni ce ne sono varie e tutte con almeno un fondo di logica e di verità.

Sta di fatto – lo ricordava ieri Paolo Mieli ospite di Lucia Annunziata – che alla presidente dell’Anpi di Cosenza si fa la multa perché con alcuni iscritti va a celebrare il 25 aprile violando – questa la fragilissima contestazione – le norme anti-Covid, mentre a un gruppo ben più numeroso che nel centro di Roma inneggia al duce, si permette di radunarsi e di scagliarsi poi su forze dell’ordine e giornalisti. Ma questo, va detto, non è un “assembramento”: trattasi in effetti di raduno fascistoide impreziosito dalla presenza di ultrà arrivati da ogni dove, autolegittimatisi alla rivolta in quanto privati da mesi di quei momenti di alta socialità quali il ritrovo in curva.

In tutto questo c’è qualcosa che davvero non quadra. Perché al di là delle “supercazzole” sulle “reali priorità del Paese” e su una presunta “saggia gestione del problema”, la sensazione è che il permissivismo ammantato di strategia, finisca con il causare danni di ogni tipo: si va dalla percezione che i cittadini hanno di una palese e ripetuta violazione delle leggi, fino al senso di impunità-immunità che molte menti bacate possono ricavarne. Il problema non sta solo nella violenza delle parole e degli atti concreti – plateali violazioni del codice penale – ma soprattutto nella sfida aperta alle norme che tutti cerchiamo di rispettare insegnando ai nostri figli che è solo così che una società può definirsi “civile”.

Io non credo che liquidare il fenomeno dei gruppi neofascisti con il solito “so’ quattro esaltati” sia la reazione più intelligente e lungimirante, specie in tempi di forte e oggettivo disagio sociale dovuto alla crisi innescata dal Coronavirus e al ritardo di molte delle misure promesse dal governo. Il capo ultrà della Roma che al Circo Massimo spiegava le sue ragioni, stava esprimendo concetti tutt’altro che campati in aria. Si potrà pure discutere sulle modalità espressive, ma sulla sostanza bisognerebbe anche saper ascoltare. A togliergli la parola sottraendolo ai microfoni degli odiati giornalisti non sono stati “gli sbirri”, ma altri manifestanti, poco inclini al dialogo e molto più portati a menare. In quell’episodio clou della manifestazione di sabato, sono racchiusi alcuni messaggi che bisognerebbe cogliere. Incluso quello che, pericolosi o meno, se domani comandassero loro, un post così non si potrebbe scrivere.