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Via Basento, una strada dove oggi abitare è bello

di Pietro Veronese

Nella via dove abito, sulla facciata del palazzo al civico 55, una lapide ricorda l’arresto di Leone Ginzburg 75 anni fa: “Italiano per passione di Risorgimento, europeo di pensiero e di ideali, era nato ad Odessa…”. Mi chiedo quanto l’Italia di oggi sarebbe disposta ad onorare un profugo ebreo venuto a morire per la sua libertà, e quanto ancora ne condivida davvero gli ideali. I tempi cambiati, e il fatto che nel seminterrato dove si stampava “L’Italia libera” ci sia oggi un centro estetico, contribuiscono a dare un certo senso di distanza, di estraneità. Ma per il resto mi piace pensare che via Basento sia rimasta fedele a se stessa, una strada borghese, quieta, appartata. Quasi anonima direi. Ho letto che i cospiratori di Giustizia e Libertà l’avevano scelta per questo: sperando di passare inosservati. Qui avevano la loro tipografia e in una traversa, via Ofanto, avevano installato in un appartamento il comando militare per il Centro Italia.

Chiusa tra due arterie importanti della città – a monte la Salaria, all’altro capo viale Regina Margherita – la via ne tiene lontano il rumore, anche quello della parallela via Po, e assicura un certo silenzio, una bella qualità di vita a chi vi abita (a patto che come me non abbia l’automobile, perché qui parcheggiare è impossibile). Ho sempre pensato a questa zona di Roma come quella che coniuga nel modo più felice la centralità con il fatto di essere, e restare, un quartiere. Un posto dove vivere, non un luogo di lavoro o un’attrazione turistica. E la discreta via Basento brilla di quelle stelle che fanno di un quartiere un quartiere: i suoi artigiani. C’è l’ottimo meccanico Danilo Barbetta, benedetto solutore di qualunque problema a due ruote. Ci sono Carlo e Tonino – Carlo Pozzi e Antonio Zitella – meccanici anche loro, un riferimento per tutti i possessori di moto di grossa cilindrata a Roma, meglio ancora se d’epoca. Ci sono, al 34, i successori del mitico Cannolicchio, al secolo Antonio Corradi, lustrascarpe e cavaliere del Lavoro, un lunghissimo elenco di nomi illustri tra i suoi infiniti clienti. Prima ancora di sapere dove avesse bottega, Cannolicchio lo sentivo nominare quarant’anni fa dai vecchi inviati degli esteri di “Repubblica” – la generazione che mi precedeva – perché era una tappa obbligata della loro impeccabile eleganza. E tralascio le scarpe su misura di Salvatore Politano e l’orefice Maresci, da qualche tempo trasferitosi in via Tirso, l’autofficina e la sartoria e tutti gli altri.

E poi ci sono io, che confeziono i miei articoli al computer, alzandomi ogni tanto per vedere quanto soffia il vento sulle chiome degli alberi in questi giorni di burrasca autunnale. Guardo giù per via Basento, non fosse per quei cassonetti che rigurgitano, per gli angoli dei marciapiedi circondati dall’acqua piovana, per i cani che… Beh, sarebbe proprio una strada bellissima.

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