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Solaris, per il ritorno dei pazienti psichiatrici alla vita normale
di Sara Catalini«I malati psichiatrici hanno diritto ad avere una casa. Perché per loro sentirsi responsabili di se stessi è la terapia migliore». Sono le parole di Antonella Cammarota, vicepresidente dell’associazione Solaris, che in occasione della festa di chiusura del progetto “La vita in armonia” racconta gli obiettivi raggiunti dai soci. Domenica 7 ottobre istituzioni del territorio, personale medico-sanitario e collaboratori, erano insieme ai ragazzi di Solaris in una giornata distesa, di festa. Alcuni si salutano timidamente, altri cercano con lo sguardo la fiducia degli operatori e delle famiglie, per loro un faro nel duro percorso di riabilitazione: «Vogliamo creare legami umani e incentivare l’autodeterminazione delle persone che soffrono di patologie mentali – spiega Cammarota – I risultati di quello che il senso di autonomia può regalare sono tangibili e mi sento fiera di noi».
“Le chiavi di casa”, un ponte sul territorio
Creare una connessione tra i malati e il mondo, perché senza c’è solitudine, paura e ricaduta. Questa è la premessa su cui poggia l’intera struttura organizzativa e assistenziale di Solaris, onlus che crede fortemente nel diritto all’autonomia come forma di riabilitazione, dopo anni trascorsi in comunità terapeutiche.
Nata nel giugno 2002 dalla volontà di un gruppo di familiari di pazienti ricoverati nella struttura dell’Asl Roma 1 in via Sabrata, a un passi da piazza Annibaliano, l’associazione ha il pregio di far convergere al suo interno tanti attori che, in modo diverso, lavorano per garantire agli utenti un futuro dove la fiducia in se stessi è la chiave per reinserirsi nella società.
Il primo progetto si chiama “Le chiavi di casa” ed è un invito rivolto al mondo fuori dalle realtà di sofferenza psichiatrica. L’obiettivo è promuovere la responsabilizzazione dei pazienti dando loro l’opportunità di una vita dignitosa insieme alle altre persone, che hanno l’occasione unica di scoprire un mondo pieno d’umanità nascosto alla porta accanto: «L’idea è di far vivere i nostri utenti sul territorio, qui nel quartiere, con l’aiuto di un’assistenza flessibile – spiega Antonella Cammarota – È un progetto rivolto a pazienti che dopo anni di ricovero in strutture sanitarie vogliono tornare a vivere da soli. Scelgono insieme a noi gli appartamenti ed eventualmente anche dei conviventi. Lavoriamo di concerto per creare un percorso in cui l’assistenza sanitaria va scemando, mentre cresce la consapevolezza di sé e si intrecciano relazioni e rapporti».
Il giornalino “pausa caffè”
Non solo il tema dell’abitare, ma anche musica, informatica, botanica, scrittura creativa e giornalismo. Solaris può contare su una fitta rete di professionisti che seguono i ragazzi nella realizzazione di progetti di inclusione e laboratori integrati, che stimolano la partecipazione e la condivisione: «Crediamo nella collaborazione tra i nostri utenti e le altre realtà del territorio, come le scuole, in particolari licei di scienze umane e sociali, sensibili a determinate tematiche – continua Cammarota – Abbiamo avviato dei progetti legati all’alternanza scuola-lavoro. Con la scuola Giordano Bruno l’esperienza dello scorso anno è stata molto positiva. Una classe del quarto liceo è stata integrata nel nostro laboratorio di scrittura e gli studenti sono stati così entusiasti, che hanno spinto per riorganizzarlo anche per i compagni che non avevano potuto partecipare la prima volta».
È Maurizio Biondo a coordinare il laboratorio di scrittura. Dopo dodici anni, da utente è diventato lui stesso la testimonianza più eloquente di quanto il ruolo attivo nella società sia determinante nella rinascita dell’individuo. Autore di “Se cucinare vi sembra poco”, libro scritto in collaborazione con una sociologa di Messina, nel testo ha raccontato il rapporto tra alimentazione e psicologia esplorando il suo universo da un punto di vista inedito. Oggi Maurizio, nell’ambito di “Le chiavi di casa”, vive con il suo coinquilino Reza, profugo afgano dal 2007 in Italia, con cui condivide la passione per la cucina italiana e le partite di calcio la sera in televisione. Con grande solidarietà e impegno, Maurizio porta il suo esempio ai ragazzi che oggi si affacciano a Solaris: «Il senso di responsabilità mi rende felice – racconta Maurizio – Ho avuto la fortuna di frequentare il laboratorio di giornalismo da cui è nato “Pausa Caffè”, il periodico curato da sei ragazzi dell’associazione. Oggi sono un tutor e seguo insieme ai giornalisti professionisti che collaborano con noi gli studenti del corso. Mi immedesimo molto in loro, perché ho percorso la stessa strada».
La carta stampata ha affascinato i ragazzi dell’associazione, come spiega Marco Ruffolo, giornalista di Repubblica, tra i professionisti che curano l’edizione di “Pausa Caffè”: «Puntiamo a coinvolgere i ragazzi in tutto il lavoro giornalistico, dalla rassegna stampa, alla stesura dei titoli e ovviamente la scrittura delle notizie – spiega – Cerco sempre di aiutarli a comprendere e padroneggiare i temi che trattiamo. Sono interessati a capire gli argomenti di cui scrivono e vogliono analizzare a fondo la notizia. Lavorano con grande serietà e determinazione».
Il modello Solaris fa breccia nelle istituzioni
Solaris con l’appoggio del II Municipio e di molte associazioni del settore è anche riuscita nel tempo a rendersi un intermediario importante tra famiglie colpite da storie di sofferenza psichiatrica e istituzioni: «L’associazione lavora sulla base di una scommessa importantissima: puntare sulle capacità e sulle scelte personali per costruire relazioni – sottolinea Cecilia D’Elia, assessora alle Politiche sociali e sanitarie del II Municipio – Le politiche sociali devono essere di sostegno alla realizzazione personale, evitando i paternalismi e il controllo sulla vita della persona. Solaris è un esempio in questo».
«Solaris unisce modi di vedere e di pensare a partire da organizzazioni diverse – dice Federico Russo, primario del centro di salute mentale dell’Asl di via Sabrata – Una piccola associazione, veloce, moderna e fatta da persone direttamente coinvolte nella sofferenza mentale riesce a collaborare con un’Azienda sanitaria perché entrambi abbiamo come obiettivo la salute e la volontà di costruire reti di legami tra persone. La salute non si può fare solo nei grandi edifici sanitari, ma casa per casa, nei piccoli gesti della quotidianità».