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La decapitata del lago e quell’assassino senza nome
di Sara FabriziIn una vetrina del Museo criminologico di Roma giacciono alcuni oggetti: un piccolo orologio bianco da donna, un flaconcino di smalto per le unghie color rosso acceso, un maglioncino consunto, un paio di guanti. Sono tutto quel che resta di un terribile giorno del luglio 1955, il giorno in cui, sulle pagine dei quotidiani, compare un titolo agghiacciante “Il cadavere di una donna decapitata rinvenuto da un giovane meccanico”.
L’orrore è dietro l’angolo
È il 10 luglio 1955, una calda giornata d’estate che spinge a cercare la frescura fuori dalla città. Sulle rive del lago di Albano due uomini, Antonio Solazzi e Luigi Barbon, decidono di fare una passeggiata dopo una breve gita in barca. L’orrore è dietro l’angolo: nascosto nella boscaglia c’è un corpo umano. È una donna, priva della testa.
Si scoprirà che è stata uccisa con tredici coltellate.
La parte superiore del corpo è coperta con dei fogli di giornale, un Messaggero datato 5 luglio 1955. Le autorità vengono allertate soltanto due giorni dopo, il 12 luglio, e cominciano così le ricerche per capire di chi sia quel giovane corpo di donna che la cronaca ribattezza subito “la decapitata del lago”.
L’assassino, forse, ha occultato la testa e le ha tolto gli indumenti per renderla irriconoscibile. Ma al polso destro della donna, fermo alle 3.33 e, brilla un orologio d’oro bianco. È un piccolo Zeus, di cui sono stati fabbricati appena 150 esemplari. Così si scioglie il mistero dell’identità della vittima, grazie all’occhio clinico di un orologiaio di piazza Santa Emerenziana che ha riconosciuto, dalla foto sui giornali, il cinturino dell’orologio. Lo ha venduto lui stesso a una ragazza che lavora come domestica in via Poggio Catino 23, la strada che da via Collalto Sabino (piazza Sant’Emerenziana) porta fino a via di Villa Chigi. Siamo nel pieno del Trieste-Salario.
La giovane domestica si chiama Antonietta Longo, detta “Ninetta”. Il confronto tra lo smalto trovato ai piedi e alle mani della vittima con quello contenuto in una boccetta, ritrovata durante un sopralluogo in via Poggio Catino, non lascia spazio a dubbi. Antonietta è la decapitata del lago.
Il quartiere sotto shock
La tranquillità del Trieste-Salario che, negli anni ’50 ancora vive gli strascichi della guerra e si prepara a rinascere con la ricostruzione, è macchiata da un terribile fatto di sangue.
Ulteriori macabri dettagli emergono dall’autopsia. Dal corpo sono stati asportati utero e ovaie e, da quanto afferma il datore di lavoro della donna, il dottor Cesare Gasparri, Antonietta non si è mai sottoposta a un intervento chirurgico di questo tipo. Forse Ninetta era incinta quando è stata assassinata e forse il suo assassino voleva far sparire quel bambino. Tante ipotesi si allineano in questa storia, tanti punti interrogativi che non hanno una risposta certa.
In realtà, l’ipotesi più accreditata è che la donna abbia incontrato l’uomo sbagliato, un truffatore che l’ha sedotta e poi uccisa per appropriarsi del suo denaro. A questa conclusione si potrebbe giungere leggendo una lettera che Antonietta ha scritto e imbucato il 5 luglio 1955, il giorno della sua scomparsa. Vi si legge: “tra poche ore sarò sua”. Una lettera che sembra annunciare ai familiari, rimasti in Sicilia, un matrimonio imminente. Altri elementi a suffragare la pista dell’uomo misterioso: due mesi prima della sua morte, Antonietta ha ritirato tutti i risparmi accumulati in anni di lavoro (213.120 lire), ha chiesto le ferie ai padroni di casa e ha comprato un biglietto per la Sicilia. Come se volesse tornare a casa e sistemarsi definitivamente.
In sartoria con un uomo
C’è chi racconta di averla vista entrare in un negozio di sartoria con un uomo. Secondo un’altra testimonianza avrebbe affittato una barca, sempre in compagnia di un uomo di cui nessuno conosce l’aspetto e il nome. Quest’ultimo dettaglio collima con quanto asserisce il gestore di una trattoria vicino al lago, che dichiara di aver noleggiato un’imbarcazione a una coppia. Proprio il 5 luglio. La barca, dice, non è mai stata restituita. A Termini viene ritrovata la valigia preparata dalla donna, con un corredo matrimoniale. Eppure, nonostante indizi e labili tracce, nonostante l’accurata ricostruzione degli spostamenti di Antonietta nelle ore precedenti il delitto, gli inquirenti non arrivano da nessuna parte. Il fascicolo viene archiviato, il caso della decapitata del lago diventa un mistero di quelli che finiscono nei libri, un giallo con un titolo avvincente ma senza assassino, movente o arma del delitto. Irrisolvibile.
Due lettere anonime, una diretta a via Poggio Catino, l’altra al procuratore generale della Corte d’appello di Roma riaccendono la curiosità dopo quasi vent’anni: è il 1971. C’è scritto che Antonietta è morta per sbaglio, durante un aborto andato male. Il responsabile sarebbe un certo Antonio, fidanzato della vittima, a capo di attività di contrabbando, già sposato. Una figura ambigua che viene identificata ed esaminata, senza che vengano però trovate prove della sua colpevolezza. Cala di nuovo il silenzio, definitivo, sulla morte di Ninetta. Il suo corpo è sepolto a Mascalucia, il paesino di origine dove forse era diretta, dove avrebbe voluto coronare il suo sogno d’amore.