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La Capitale del no, dove manca il pensare in grande
di Corrado Ruggeri
Diceva Folco Quilici, che ha esplorato e raccontato il mondo intero, e da poco ci ha lasciati, poco prima di compiere 88 anni: «Non guardate le fotografie del posto dove state per andare in viaggio. Una volta arrivati, rischierete di restare delusi». E spiegava che l’arte di ritrarre è ricca di piccoli segreti: i filtri, le luci, gli obiettivi, pennellate magiche che aggiungono meraviglie e cancellano difetti. I contemporanei esperti di tecnologia lo chiamano photoshop: in genere si applica con le persone, ma ormai si usa per tutto, monumenti, panorami, capolavori. Così quel che si vede dal vivo, nella sua semplice realtà, finisce sempre per sorprendere. Nel bene e nel male. Come Roma.
Un popolo ribelle
Sono sempre alte le aspettative di chi arriva nella Capitale ma insieme alle meraviglie è impossibile non notarne i difetti. Confusione, sporcizia, traffico sono le lamentele più frequenti. Va detto che governare Roma è difficile almeno quanto fare il presidente degli Stati Uniti, perché oltre a una naturale complessità, si ha anche a che fare con un popolo ribelle a ogni regola, votato al parcheggio in seconda fila, sempre più preoccupato dell’interesse proprio, del piccolo orizzonte personale, piuttosto che del bene comune. Se si passeggia per il centro storico, si noteranno, quasi ad ogni angolo, sacchetti di spazzatura abbandonati, come se ciascuno disponesse, in luogo pubblico, di una minuscola discarica privata. Piccole vergogne, che quando diventano numerose si trasformano in enorme problema.
È il pensare in grande che manca a questa città. Trionfa il bisogno di sopravvivere invece che il desiderio di proporsi come destinazione irripetibile. Il tempo corre, il mondo cambia. Non bastano più Colosseo, San Pietro, Musei Vaticani e Capitolini per attrarre e far tornare turisti. A Roma mancano i repeater, quelli che vengono più volte, perché nessuno propone loro le ragioni per tornare. Tutte le grandi metropoli del mondo hanno saputo diversificare le loro proposte, caratterizzando ogni quartiere in un modo diverso. A New York, Soho non è come l’Upper East Side o Harlem, a Tokyo Ginza è differente da Shibuya o da Akihabara e ciascuna zona viene presentata come una minicittà da non perdere, con le sue irripetibili attrazioni.
Tesori non valorizzati
Veniamo a Roma. Il patrimonio architettonico dell’Eur non è suggerito con l’entusiasmo che meriterebbe. E il turista sa qual è la differenza tra una serata a Testaccio e una a San Lorenzo? L’eccezionalità di una chiesa aperta 24 ore al giorno, dove si può andare a pregare anche in piena notte – è Sant’Anastasia, proprio accanto al Circo Massimo – è forse nota?
Un tour nel Coppedè
Per restare nel Trieste-Salario, sono pubblicizzati abbastanza, ammesso che ci siano, i tour nel Coppedè? E la gastronomia, le trattorie con le loro specialità: se si degusta il vino, perché non si potrebbero degustare – in verticale o in orizzontale – le paste alla romana, cacio e pepe, gricia, amatriciana e carbonara, tutte con le stesse componenti di base e arricchite da varianti che le rendono così diverse? C’è un enorme insediamento di cinesi ma non è stata organizzata una Chinatown che a San Francisco, ad esempio, ma anche a Bangkok, è diventata parte del tour della città. Singapore e pure Kuala Lumpur sono famose per il quartiere arabo: da noi c’è una nutrita presenza musulmana, anche di mini imprenditorialità, ma nessuna proposta organizzata, né culturale né gastronomica né di shopping. Che peraltro servirebbe molto anche per svelenire il clima di diffidenza che si è creato nei loro confronti.
La città che muore
Così chi è già venuto una volta, difficilmente sente il desiderio di tornare. Al contrario di quanto accade per altre destinazioni, dove si avrebbe sempre voglia di andare: Londra, Parigi, New York, Hong Kong, Bangkok, Barcellona. Stimolano, eccitano, fanno sentire il viaggiatore cittadino del mondo. Roma no. Sembra restare prigioniera di se stessa e del suo passato, ostaggio di un trasversale partito del no che tende a bloccare ogni iniziativa. Dopo anni di polemiche è stato fatto, con successo, il GP di Formula E, ma la Formula 1 sarebbe ancora più spettacolare, e non provocherebbe maggiori disagi di quelli già provati. L’uso del Colosseo – certo, soltanto, per eventi straordinari – andrebbe regolato con coraggio, oltre che con fermezza, così come la moda potrebbe essere rilanciata utilizzando quella passerella naturale e unica che è via dei Fori Imperiali. Una sfilata lì, proprio dove si fa la Parata del 2 giugno, sarebbe un appuntamento di richiamo mondiale. Governata invece dai sacerdoti del timore, Roma soffoca. E piano piano muore.