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Il ragioner Fantozzi e il suo Trieste-Salario
di Chiara GelatoAlle 6 del pomeriggio di martedì 3 luglio c’è già folla davanti al cinema Savoy di via Bergamo. L’appuntamento organizzato da Fondazione Cinema per Roma a un anno dalla scomparsa di Paolo Villaggio comincia circa un’ora dopo, ma il pubblico già si accalca nell’androne dell’ex sala Savoia voluta da Mussolini, che nel ’93 diverrà multisala. Fotografi, giornalisti, gente di spettacolo, appassionati. Tutti venuti per ascoltare le disavventure di Fantozzi che sono lì a ricordarci come potremmo essere. Tanti gli abitanti del Trieste-Salario, dove l’artista, che ha cambiato codici e lessico della comicità italiana, ha vissuto per più di trent’anni nel villino di via Anapo 5. In molti se lo ricordano ancora, mentre passeggiava con la sua tunica bianca per le strade del quartiere, spesso in compagnia dei suoi cani.
A raccontarlo per noi, il figlio Piero: “Di questo quartiere amava il verde e l’architettura. Si era trasferito in via Anapo dopo aver vissuto in via Pezzana, nella zona della Moschea. Quando non lavorava, scendeva a fare i suoi giretti: la colazione, ogni mattina a piazza Verbano. E poi le capatine in macelleria e a caccia di formaggi. Spesso lo si poteva trovare a Villa Ada, dove portava i cani. Ma quando ha cominciato a non star bene, girava in macchina con il suo autista”.
Di questo “padre non convenzionale, cinico ma sempre sincero e mai banale”, Piero parla con delicatezza. Roma come città adottiva, Genova sempre nel cuore: “La sua città non l’ha mai dimenticata. Genova mi ricorda molto di lui. Ogni volta che andavamo, mi mostrava i luoghi della sua infanzia e giovinezza. Tutte le sue parodie, i suoi personaggi, vengono da lì, dall’esperienza alla Co.Sider di Genova”, negli uffici dove immagina quello che diverrà il ragionier Fantozzi, terrorizzato dal megagalattico direttore, assediato dalla moglie Pina, turbato dalla bruttezza della figlia Mariangela.
Ma è a Roma che Paolo Villaggio deciderà di stare.
“Adorava la sua casa – continua Piero – e per una volta, lui che non sapeva gestire i soldi e aveva le mani bucate, fu lungimirante: così fece mettere in quel villino che era stato costruito per i ferrovieri, un ascensore interno. Quell’ascensore gli ha permesso di tornare nella sua camera da letto quando si è ammalato e si affaticava a salire le scale”.
Dello stesso ascensore ci parla anche Neri Parenti, 18 film insieme a Villaggio e un sodalizio di oltre 20 anni, da Fracchia a Fantozzi: “L’ascensore l’aveva messo perché era pigro – sorride – Diceva sempre che era bulimico e che quando di notte gli veniva improvvisamente fame doveva mangiare subito, non poteva resistere a fare tutte quelle scale!”.
De “Il secondo tragico libro di Fantozzi”, il regista ha scelto di leggere proprio il brano della cura dimagrante, quello dove il ragioniere approda nella clinica-carcere in cui si paga per un piatto di spaghetti, i “carcerati” come lui vengono infornati nella sauna e Fantozzi si butta nell’unica piscina senz’acqua dove si mette a nuotare a rana sul fondo per non dare nell’occhio.
La casa di via Anapo, Neri Parenti la ricorda per le riunioni di sceneggiatura: “Ci andavo sempre con Benvenuti e De Bernardi, gli facevamo leggere quello che avevamo scritto e se ne discuteva. Ci abbiamo passato molto tempo. C’erano sempre i suoi quattro cani. Una volta, nel quartiere, gli rubarono il labrador e noi giù a cercarlo dappertutto. Alla fine lo trovammo in un giardino”.
Tra gli attori che ricordano Villaggio c’è anche il comico Saverio Raimondo, nato nel 1984, un anno dopo l’uscita di “Fantozzi subisce ancora”. Una passione antica, quella per l’artista anarchico, con cui condivideva lo stesso quartiere. “L’ho amato come spettatore fin da bambino, quando alla tv trasmettevano i suoi meravigliosi Fantozzi”. Poi la scoperta di essere vicini di casa. “Mi è capitato di incontrarlo più di una volta, frequentavamo lo stesso bar, nel quartiere Trieste. Un onore portarlo negli Emirati, “esportando” Fantozzi. E una sorpresa emozionante scoprire che anche lì ridono allo stesso modo di come ridiamo qui in Italia”.
Ma è Milena Vukotic, a fine serata, a raccontarci l’aneddoto più divertente. “Una sera bussai alla casa di Villaggio, ero invitata a cena, e mi aprì la colf. Per annunciarmi, disse alla moglie di Paolo: Signora, è arrivata la moglie di suo marito!”. Perché nell’immaginario, l’attrice e la signora Pina sono una cosa sola.
Tanti i ricordi legati al quartiere, dove risiede anche la Vukotic. Dalle passeggiate a Villa Ada (“spesso in compagnia di Maura”, la moglie di Villaggio, ndr) ai passaggi alla rosticceria Il Buchetto, “proprio di fronte a casa mia, dove Paolo andava regolarmente, o ci mandava l’autista”.
Un quartiere, il Trieste Salario, che ha lasciato un segno nell’immaginario e nei personaggi di Villaggio? “Non credo – risponde subito l’attrice – perché lui era oltre. Era troppo brillante per aver bisogno di un panorama esterno che lo stimolasse”.