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A passo di ruspa: perché si demoliscono i villini del quartiere

Di Alessandro Cardamone

Si sono rivolti al Comune, alla Regione, alla Soprintendenza e anche al ministero dei Beni culturali. Ma non è bastato, perché la prima demolizione dei villini storici nel II Municipio è arrivata comunque. Ora, per scongiurarne altre, hanno deciso di puntare ancora più in alto. Così in alto che hanno chiesto aiuto al Papa: «La preghiamo di intercedere per salvaguardare questi patrimoni culturali». A invocare il pontefice sono i comitati di cittadini e le associazioni del Trieste-Salario, che non hanno nessuna intenzione di arrendersi: «Il municipio ha più di venti edifici a rischio – afferma Cristina Rinaldi, presidente del comitato “Salviamo Villa Paolina” – ed è vero che alcuni sono davvero brutti, da riqualificare, ma almeno dodici o tredici sono storici. Non permetteremo che vengano abbattuti, daremo battaglia fino alla fine». E la battaglia, è certo, sarà tutt’altro che facile, perché ad autorizzare la distruzione di questi palazzi sono proprio le stesse amministrazioni a cui i cittadini si erano appellati.

Via Ticino: la prima demolizione

Il 16 ottobre scorso, le ruspe fanno la loro comparsa in via Ticino 3. Il loro obiettivo è il villino Naselli, una palazzina di quattro piani a due passi dai palazzi liberty della zona Coppedè e dalla casa in cui visse il tenore Beniamino Gigli. Di fronte allo sguardo esterrefatto di molti residenti, comincia la demolizione. Nel giro di poche ore, la palazzina non c’è più: al suo posto una voragine, su cui sorgerà un moderno e lussuoso palazzo con sette appartamenti, altrettante cantine e 15 box auto.«Abbiamo fatto tutto quello che potevamo: raccolta di firme, manifestazioni, sit in, esposti – ricorda Barbara Lessona, presidente del comitato “Amo il quartiere Trieste” – Ma non c’è stato niente da fare, ce l’hanno abbattuto davanti agli occhi. Ci siamo sentiti mutilati, violentati. C’era anche chi piangeva. Uno scandalo».E a gridare allo scandalo sono stati in molti, perché la notizia della demolizione di via Ticino ha fatto il giro d’Italia. Tanto da scatenare l’indignazione di personaggi anche noti, come Vittorio Sgarbi. Tutto inutilmente. Ma perché? Com’è stato possibile?

Il Piano casa della Regione Lazio

Per capire come si sia arrivati a questa prima demolizione, bisogna andare a leggere il Piano casa della Regione Lazio, una legge che permette di abbattere e ricostruire edifici esistenti, anche aumentandone la cubatura. Insomma, una buona occasione di guadagno per tanti. E tra questi c’è la “NS Costruzioni”: compra il villino di via Ticino, che era di proprietà di una congregazione di suore, lo rade al suolo e ora pubblicizza sul suo sito i nuovi appartamenti del palazzo che sta per costruire. Tutto qui? No.

Il giallo sulla data di costruzione del villino

«L’autorizzazione alla demolizione era stata concessa perché si era detto che l’edificio risaliva agli anni ’50 – continua Cristina Rinaldi – Poi però si è scoperto che era degli anni ’30. È un dettaglio decisivo: la costruzione aveva più di 70 anni, per questo era vincolata e perciò non poteva essere abbattuta”.Pochissimi giorni prima della demolizione, infatti, associazioni, comitati e cittadini chiedono l’accesso agli atti: scoprono così che il progetto originale del villino è del 1930 e che la costruzione sarebbe stata immediatamente successiva. Questo non basta però a fermare le ruspe: «Sono arrivate prima di qualsiasi ricorso». Se le cose stanno davvero così, appare evidente come ci siano tutti i presupposti per aprire un’inchiesta giudiziaria. Gli approfondimenti sono in corso.

E adesso?

Adesso la paura si sposta sugli altri edifici che rischiano di essere rasi al suolo. A cominciare da quello in largo XXI Aprile: Villa Paolina, che ospitava l’istituto scolastico delle Suore della Carità Cristiana. «È sana come un pesce, ma sta subendo la stessa sorte del villino di via Ticino», prosegue Barbara Lessona. Anche questo edificio, infatti, è stato recentemente acquistato. Stavolta dalla società “Cam”, che ha presentato un progetto di demolizione e ricostruzione. Proprio come per il villino Naselli. In questo caso, però, le cose non sembrano procedere altrettanto speditamente. L’autorizzazione a costruire un nuovo edificio, infatti, «è stata bloccata per carenze nel progetto che è stato presentato», assicura Cristina Rinaldi.

Il silenzio del Comune e della Regione

Mentre la costruzione di un nuovo palazzo al posto di Villa Paolina deve aspettare, i comitati dei cittadini affilano le armi e chiedono alle istituzioni di interrompere questa catena di demolizioni. Perché, a quanto pare, gli strumenti ci sarebbero. Il primo appello va alla Regione: «Per salvare gli edifici storici si deve estendere il Piano territoriale paesistico regionale (che tutela anche i beni architettonici) applicandolo a tutte le aree della città storica che hanno edifici e costruzioni dell‘800 e del ’900», afferma il presidente del comitato “Salviamo Villa Paolina”. Naturalmente abbiamo provato a rivolgere la richiesta a Michele Civita, assessore regionale alle Politiche del territorio. Attraverso la sua segreteria, però, ci ha fatto sapere che «non rilascia dichiarazioni, almeno in questo momento di “passaggio” fra vecchia e nuova giunta». Il secondo appello è diretto al Comune che, nonostante in questa vicenda abbia cercato di scaricare le responsabilità sulla Regione, potrebbe essere determinante: «Il Campidoglio deve inserire Villa Paolina e la zona circostante nella Carta per la qualità, che può tutelare questi beni. Se, per esempio, il villino di via Ticino fosse stato inserito, lo avremmo salvato. E non vogliamo che per questa mancanza siano a rischio anche Villa Paolina e tutte le altre», conclude Cristina Rinaldi. Abbiamo girato la richiesta alla sovrintendenza capitolina ma, almeno finora, non abbiamo ricevuto nessuna risposta. A parlare è invece il II Municipio, per bocca del vice presidente Andrea Alemanni: «Sono contrarissimo a questo tipo di interventi urbanistici. I nostri territori hanno delle aree di pregio che non devono essere toccate. È per questo che abbiamo chiesto al dipartimento Urbanistica del Comune di convocarci ai tavoli dove si discute di questi permessi a costruire. Il Municipio non può dare pareri vincolanti, ma è l’istituzione che conosce meglio il territorio».  A questo proposito la presidente Francesca Del Bello ha scritto alle autorità chiedendo il rispetto del territorio (vedi il documento in queste pagine) e la salvaguardia del patrimonio storico. Intanto, però, aspettando che Regione e Comune diano risposte concrete, nell’anno 2018 i cittadini si ritrovano a sperare in un’intercessione papale.

 

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