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Addio al pizzaiolo di tutti, ci resta un Ago nel cuore
di Daniele Galli
“Da Agostino” non era solo una pizzeria. Era molto di più, per il quartiere e per quelle decine di migliaia di ragazzi che negli ultimi trent’anni hanno frequentato – anzi: vissuto – la Settembrini e il Giulio Cesare. Non è un caso che sulla cancellata del Giulio sia apparso lo striscione “Ciao Ago”. Con un cuore grande così.
“Da Agostino” era un luogo metafisico. Quei tranci da mille lire di bianca servivano a lenire un po’ la fame e un po’ un 4 in quella matematica che non sarà mai il mio mestiere. Sinceramente, da ragazzino nemmeno pensavo che esistesse davvero una persona chiamata Agostino. Nell’immaginario della nostra generazione, era più che altro uno step, una tappa, un momento di silenzioso ritrovo prima di fare ritorno a casa da mamma o da nonna. Oppure – e questo era il piano B – “da Agostino” fungeva da stazione di rifornimento prima di andare a giocare al “Punto”, all’incrocio tra via Topino e Corso Trieste. Altro luogo mitico degli anni 90, divenuto col tempo una metonimia, la parte per il tutto. Dicendo che andavi al “Punto”, intendevi che marinavi la scuola. Al posto del “Punto” c’è ora una banca. Al posto di Agostino invece non potrà esserci più nulla.
Con lui se ne va un artigiano della pizza a taglio, una bandiera del Trieste-Salario, una di quelle certezze che dentro di te ritieni eterne. E invece non è così. E invece Ago se n’è andato. “Le cose della vita fanno piangere i poeti”, cantava un’icona del quartiere come Antonello Venditti. Ma oggi fanno piangere anche noi, ex studenti del Giulio, rimasti orfani di un tassello della nostra anima.